domenica 3 luglio 2011
albero, ecologia dell'anima (intervista)
Jesi, Palazzo dei Convegni, 31 maggio 2011
Elisa Latini è una giovane artista marchigiana che da più di due anni lavora ad un progetto sull’albero, pianta ricchissima di simboli. Dal 27 maggio al 4 giugno si è tenuta a Jesi (Ancona), presso il palazzo dei Convegni, la mostra di pittura, Albero, ecologia dell’anima, che presenta i primi risultati di questa ricerca. Ho incontrato Latini all’interno dello spazio espositivo della mostra, la ringrazio per la disponibilità e cortesia.
Come è nata l’idea per questa mostra?
Innanzi tutto l’albero è per me una fonte di ispirazione forte e poi di recente mi sono capitate diverse commissioni sull’albero. Sin dai tempi dell’Accademia lavoro sull’albero ed ho quindi letto queste coincidenze come segni importanti per portare avanti il mio progetto. Ai tempi dell'Accademia lavoravo sulle cortecce per creare una scultura. Ho fatto decorazione pittorica alle superiori e scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma. Quando sono tornata a Jesi, mi sono dovuta adattare alle esigenze di spazio dello studio del mio compagno che è pittore. Uno studio di pittura non è compatibile con uno studio di scultura, per cui ho cercato di coniugare il progetto scultoreo con il colore. Da questa esigenza è nato il chiaroscuro dell’albero in bianco e nero, le prospettive, le inquadrature, i giochi di luce ed ombra, il discorso di profondità e in qualche modo il bisogno di ricreare la tridimensionalità.
Qual è il tuo rapporto con gli alberi e con la natura?
È un rapporto stretto che mi porto dietro sin da quando ero piccola. L’arte mi ha ravvicinato a qualcosa che sentivo profondamente vicino a me e dal quale mi ero allontanata. Quando ero bambina mi madre mi disse, “farai agraria o l’istituto d’arte”. Ed io ho scelto la seconda possibilità, ossia il mezzo espressivo che mi ha permesso di acquisire gli strumenti che mi potessero riavvicinare alla natura, agli animali…credo che l’essere umano sia sradicato dalla natura. Molto probabilmente da piccola mi sono sentita sradicata e il percorso artistico mi ha aiutato a ritrovare quella sensibilità che avevo perduto. Adesso coltivo piante, allevo criceti, ho un pesce…
I dipinti hanno un segno impressionistico molto particolare. Mi puoi dire come sei arrivata a questo risultato, allo stesso tempo raffinato e di forte impatto visivo?
Lavoro molto sui simboli. Tutto quello che ci circonda ha una valenza fortissima per la psiche. In qualità di oggetto, in qualità di albero, in qualità di materia, ogni cosa è viva e anzi la vita dell’oggetto è quella che gli imprimiamo noi con la quotidianità, con il valore che gli diamo. In questo senso mi sento molto vicina al percorso dei surrealisti così come l’entrare dentro la materia dei nabis.
È la ricerca sugli alberi che ha portato a questo segno o è il tuo segno che ha trasfigurato l’immagine dell’albero? Ossia che rapporto sussiste fra il contenuto e la forma?
Tecnicamente lavoro con la stampa in trielina dalle superiori, poi la trielina è stata tolta dal mercato e ho dovuto cercare il componente chimico che permettesse all’inchiostro di sciogliersi e di imprimersi sulla carta. Allora stampavo tutto su carta perché i progetti scultorei che facevo, li facevo su carta. La prima difficoltà è stata trovare il componente chimico che mi sciogliesse l’inchiostro, la seconda è stata trovare il supporto da applicare alla tela che mi permettesse di prendere l’inchiostro senza fare troppi danni, senza sciogliersi…cioè deve essere una superficie liscia, perché se è ruvida rimane la texture. Adesso ho imparato ad utilizzare questa cosa della texture e su certe tele si vedono le pennellate del fondo, in quanto ho giocato con questo aspetto. Si addiceva particolarmente al discorso sulle cortecce degli alberi e sulla loro materia. In più mi piaceva lavorare con la suggestione. Tant’è che da qui nasce tutta una serie di lavori che ancora sono su carta e che si intitola “Suggestioni”.
La mostra presenta un’istallazione al centro dello spazio espositivo, fatta di strutture in legno che sorreggono i quadri e da un cerchio disegnato da alcune piantine. Qual è il significato di questa scelta?
Originariamente non volevo mettere nessuna tela alle pareti. Poi per questioni di spazio ho deciso di farlo. Comunque è un’istallazione e come tale va creata su misura per lo spazio in cui vai ad esporre. L’impianto originale prevedeva una struttura centrale circolare e aperta che abbracciasse e creasse qualcosa di accogliente, anche esagonale, ottagonale. Se io avessi a disposizione uno spazio grande che consentisse di ospitare otto strutture lignee, io creerei un labirinto circolare con una stanza circolare, simile a quella di Cnosso, per capirci, e questo perché c’è un discorso di sacralità dell’individuo che ritrova se stesso all’interno, al centro dell’albero, e quindi ecco le piantine vive che sono di querce e lecci di Porta Valle [zona di Jesi, n.d.r.]. Quindi è un impianto che dall’urbano torna alla natura. Originariamente avrei voluto che ogni persona che acquistava un quadro, si assumesse la responsabilità di una quercia. Quindi l’idea dell’argilla cruda che contiene ogni piantina. L’ho fatto per non far soffrire la pianta, perché se il compratore non si prende la responsabilità della pianta io me la tengo. Questo vuol dire che la devo spostare di vaso in vaso e l’argilla non va più bene. L’argilla va bene se ho un compratore perché metto la terra e la quercia dentro l’argilla così che basterà insediare a terra l’argilla cruda che man mano si decompone, per cui la terra ritorna alla terra e libera le radici. L’albero è l’anima dell’essere umano, la natura ciclica continua e l’essere umano deve imparare ad essere ciclico. Sono anni e anni che l’arte proclama la ciclicità, la continuità, la fluidità, il divenire…
La mostra è itinerante, Jesi è la prima tappa. Quali sono gli altri luoghi designati? C’è una ragione particolare, secondo te, per mostrare i tuoi dipinti in questi luoghi?
Tutto è stato studiato, le tappe della mostra così come gli sponsor [collaborazione: Parco Gola della Rossa, sponsor: Habitat – Verdeambiente, Azienda Agricola Tonti Giorgio, Leonardo Edilizia & Costruzioni, n.d.r.]. Io colloco l’albero dove l’albero è accettato altrimenti me lo tengo. Semino dove c’è sensibilità per stimolare. Punto sul fatto che anche chi non è vicino a certi argomenti possa interessarsi al mio progetto grazie ad un discorso di professionalità. Il mio lavoro è volto anche a nutrire la professionalità di coloro che collaborano con me. Io ho bisogno di un agronomo come Frontini [Habitat – Verdeambiente, n.d.r.] o di un direttore come Scotti [Parco Gola della Rossa, n.d.r.], perché sono loro che veicolano il mio progetto. È la collaborazione fra individui, è la ‘foresta’ di individui che crea il sottobosco per far crescere le querce. La quercia è forte ma non è un albero primario, ossia se hai una terra arida non ci puoi mettere le querce, perché hanno bisogno dell’ombra. Tornando ai luoghi, uno sarà il Parco Gola della Rossa e un altro la Spring Color di Castelfidardo, che è un’azienda di colori per l’edilizia tutti fatti a carattere naturale. Prendono i pigmenti ricavati dai vegetali e li trattano con il latte, gli oli essenziali. Hanno creato tutta una linea per l’arte che io e il mio compagno Andrea [Silicati, n.d.r.] usiamo.
In più di un quadro la prospettiva è dal basso verso l’alto, è una scelta oculata, ha un suo significato? A me sembra che rappresenti un profondo rispetto e quasi venerazione per queste creature millenarie.
Siamo piccoli rispetto a quello che è l’albero e soprattutto abbiamo bisogno di lui, l’albero ci avvicina al sole al cielo, alla parte alta…ci protegge. Questo aspetto mi è venuto in mente quando un signore che è venuto alla mostra, guardando il quadro dedicato al cedro del Libano, mi ha detto, “questo quadro mi ricorda di quando ero bambino e stavo sotto i cedri del Libano”. Io gli ho detto che quel quadro rappresentava esattamente un cedro del Libano. La caratteristica di questo albero è che i suoi rami si sviluppano verso il basso e quindi danno la sensazione di proteggerti.
Ogni quadro è collegato ad un albero diverso o sono raffigurazioni degli stessi alberi. E l’albero dipinto ha per te un’importanza particolare?
Sono pressoché tutti alberi diversi. Se lavoro su di uno stesso albero per più di un quadro è perché studio un particolare oppure un’altra angolazione. Il cedro del Libano è rappresentato in due tele, una è caratterizzata dalla prospettiva dal basso verso l’alto, l’altra da una prospettiva frontale per evidenziare la caratteristica dei rami che vanno verso il basso. Quando c’è un albero che mi dice qualcosa in più gli dedico più di una tela.
Hai dato un titolo ad ogni quadro?
Il titolo riprende la tipologia dell’albero e il luogo. Non ho scritto accanto al quadro il titolo per scelta stilistica. I pannelli lignei mostrano anche il retro della tela, in quanto anch’esso deve essere protagonista. Quando Burri ha rotto la tela ha permesso di andare dietro la tela stessa. È come parlare della corteccia e del suo interno. Il retro della tela doveva recare i titoli e i pannelli lignei sono stati progettati a seconda del quadro che dovevano ospitare.
Come è nato il titolo della mostra, Albero, ecologia dell’anima, è molto evocativo…
L’albero è l’alter ego dell’essere umano e da questo punto di vista il termine ‘ecologia’ fa riferimento al visitare, al vivere intimamente l’esperienza arborea che ti porta al confronto con te stesso. Chi entra vive l’esperienza intima di se stesso che si immagina nella natura…purtroppo non c’è più un rapporto vivo con la natura…io quindi ti lascio un seme per recuperare questo rapporto.
l'universo...della danza
INTRODUZIONE
La danza è un’arte incarnata e transitoria. Secondo la danzatrice e coreografa Martha Graham, “il corpo è un indumento sacro” e la danza è “un atto di affermazione” che lo utilizza in modo significativo. L’arte coreutica può essere declinata come espressione di un’emozione attraverso il movimento, come rito propiziatorio, o anche come movimento in sé, senza alcun sottotesto narrativo. Molte sono le categorie di analisi della danza: in primo luogo la storia che ricompone la sua evoluzione attraverso documenti e testimonianze; in secondo luogo l’antropologia che indaga il significato di una danza all’interno di una cultura o di un gruppo di persone; in terzo luogo l’estetica che analizza le caratteristiche specifiche di un tipo di danza, e così via. In questo libretto si è pensato di ripercorrere alcuni dei tratti salienti della storia della danza teatrale occidentale, per poi proporre una sintesi degli stili presenti in gara, quali il tango, la pizzica e il flamenco. Il titolo del progetto, “L’universo della danza” è ambizioso e volutamente inclusivo di ogni espressione di questa arte. Il presente libretto vuole costituire un assaggio di quello che questo medesimo universo rappresenta.