martedì 29 marzo 2011
il corpo delle donne svuotato (ancora una volta)
Nel corso delle ultime settimane nella provincia di Ancona l'immagine del pancione di una donna incinta ha tappezzato le vie della città. Nella città di Jesi (An), un altro manifesto si è aggiunto con il dipinto di una donna con indosso un abito bianco e verde e un mentello rosso. Il primo manifesto è la pubblicità della Confederazione Nazionale Artgianato della Piccola e Media Impresa (CNA) della provinica anconetana, creato dalla Tonidigrigio - laboratori creativi, mentre il secondo è stato utilizzato dal comune di Jesi per pubblicizzare le iniziative inerenti i festeggiamenti della città per l'anniversario dell'unità d'Italia durante la sera del 16 marzo, qui il link agli eventi.
In entrambi i casi si ha una reificazione del corpo femminile che viene svuotato di senso. Nel primo caso la gravidanza viene associata all'idea di sentirsi imprenditori sin dalla nascita e di lavorare ad un'impresa con la stessa dedizione con la quale si cresce un figlio. L'accento è sul corpo femminile come contenitore, come sottolinea allusivamente lo slogan "Imprenditori dentro": "Il bisogno è quello di un messaggio forte, provocatorio, essere imprenditori come essere genitori, la metafora del progetto lavorativo che diviene progetto di vita", sottolinea massimo della Tonidigrigio, ma la scelta del cliché del pancione rimanda più che altro all'essere madre ed esclude di fatto il ruolo del padre dall'immaginario proposto. La reificazione è inoltre accentuata dal fatto che il viso della donna non è incluso nella foto. Infine, questa immagine diviene grottesca e paradossale se si pensa che molte donne ai colloqui di lavoro devono ancora oggi rendere conto della loro intenzione o meno di divenire madri, con il rischio altissimo che se decidono per il si non vengono assunte o vengono licenziate.
La seconda immagine fa riferimento ad un altro topos fondativo della cultura sessista nostrana e non solo, ossia quello di equipapare il corpo della donna alla patria e alla nazione (si veda per esempio anche la figura animata che fa da sigla a Ballarò). Anche in questo caso l'identità individuale non ha importanza e il corpo femminile diviene allegoria per un popolo intero. Come sottolinea Marina Warner nel suo The Allegory of the Female Form, "La forma femminile tende ad essere percepita come generica ed universale, con sfumature simboliche; quella maschile come individuale, anche quando viene utilizzata per esprimere un'idea generalizzata" (Warner, 1985: 12). In questo senso, la donna del dipinto non rappresenta la tipica donna italiana o una donna italiana in particolare, ma l'idea stessa di nazione ed è per questo unidimensionale, per usare il termine che Warner utilizza per illustrare una simile incongruenza per quanto concerne la Statua della Libertà statunitense (Warner, 1985: 12). La Statua rappresenta il concetto di libertà ma non certo la libertà delle donne statunitensi, nonostante sia e sia stato un potente veicolo di speranze e sogni. L'allegoria del dipinto si carica di un ulteriore tassello grazie ai riferimenti cromatici dell'abito che rimandano al tricolore della bandiera italiana.
Questa analisi non è un attacco al CNA o al Comune di Jesi, ma all'immaginario che essi purtroppo contribuiscono a perpetrare.
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