venerdì 7 dicembre 2012

Identità che s/ballano in rete

Questo saggio avrebbe dovuto essere pubblicato in un volume collettaneo ma, per qualche ragione penso di carattere organizzativo, ne è rimasto fuori. Lo pubblico quindi qui in quanto è un lavoro importante per la mia ricerca di studiosa precaria che si occupa di danza.


Identità che s/ballano in rete:
pratiche di interazione e collaborazione con il sito www.ballet-dance.com

Rosella Simonari


Introduzione
La genesi di questo saggio è stata piuttosto difficile in quanto, per la prima volta, ho riflettuto su di un argomento che mi trova coinvolta in prima persona da un punto di vista accademico [1]. Inizialmente l’idea era di integrare la mia esperienza con quella di altri collaboratori del sito www.ballet-dance.com, ma non è stato possibile raccogliere dati a sufficienza; inoltre è emersa una certa diffidenza da parte di alcuni ed ho smesso di fare domande. Come sottolinea Tim Jordan, in internet «la morale è che le identità online non devono coincidere con quelle offline» [2]. Questo studio si è quindi evoluto rispetto al progetto di partenza ed è ora incentrato sulla mia interazione e collaborazione con il sito www.ballet-dance.com. La mia formazione è di carattere accademico, scrivo di danza e letteratura dal 2000 e, dal gennaio 2006, sono dottoranda part-time presso la University of Essex. L’esperienza con www.ballet-dance.com ha contribuito allo sviluppo delle mie capacità critiche, oltre ad aver fornito una piattaforma preziosa di informazione sulla danza.
Interagisco con il sito www.ballet-dance.com da sei anni e da cinque collaboro in qualità di critico con recensioni, interviste e articoli di approfondimento. Il sito è nato inizialmente come forum nell’ottobre del 1999 con il nome di www.criticaldance.com. Nel 2003 è stata avviata una rivista con cadenza mensile con il nome di www.ballet-dance.com che raccoglie gli articoli più interessanti del forum. Ballet-dance è poi divenuto il nome del sito. La rivista è nutrita dal forum e, attraverso il forum, si avviano delle discussioni che sono anche collegate alla rivista. Quindi i due nodi principali del sito interagiscono fra loro in modo molto attivo. Il paradigma del lettore che diviene autore, in questo caso, è molto pertinente e sfrutta al massimo l’interconnettività e ipertestualità di internet [3], aspetto che tuttora non viene utilizzato da altri siti di danza come www.ballet.co.uk o il più recente sito italiano www.balletto.net che pure ha un forum. La redazione di www.ballet-dance.com è costituita dai collaboratori che generalmente provengono dal forum, non esiste in un luogo fisico ma solo nello spazio virtuale dello scambio email. Non c’è una gerarchia come nella redazione di una rivista cartacea, in parte per via del fatto che si basa principalmente sulla collaborazione di volontari, in parte perché la politica del sito è di carattere inclusivo e aperto. Allo stesso tempo, sempre ricordando Jordan, possiamo affermare che le gerarchie in internet non scompaiono ma vengono riconfigurate secondo i parametri dati dalle identità online, che sono fluide e molteplici, e da altri fattori come il differente tipo di comunicazione che viene elargito rispetto, nel caso specifico, ad una rivista di tipo cartaceo [4].  In effetti, nel forum, si può notare uno sbilanciamento di interesse e competenza verso il balletto a cui è dedicata più di una sezione, mentre altri tipi di danza come il flamenco sono catalogati sotto «World Dances, Musical and Social Dances», ossia “danze dal mondo, musical e danze non accademiche”. Il sito si propone come una sorta di enciclopedia imperfetta, che trasmette, crea e ricrea continuamente quello che Pierre Lévy chiama «l’universale senza totalità» [5], ossia un agglomerato di informazioni che più aumentano meno rivestono un ruolo totalizzante. E la mia collaborazione con la rivista ne è un esempio. In questo intervento tratterò della mia interazione e collaborazione con il sito www.ballet-dance.com. Inizierò con una panoramica sulla sua struttura, per poi soffermarmi sulla mia prospettiva di carattere glocale e concludere con una riflessione sulla mia scrittura nel sito.

Il sito  
www.ballet-dance.com è un sito internet in lingua inglese dedicato alla danza. È forse uno dei più complessi sull’argomento. È nato ad opera di Stuart Sweeney e Azlan Ezzadin, due figure distanti per ubicazione ma vicine nella loro comune passione per la danza. Sweeney infatti vive fra Londra e l’Estonia, mentre Ezzadin abita a San Francisco. È interessante notare che nessuno dei due nasce come danzatore, coreografo, critico di danza o comunque come figura professionale legata al mondo della danza. Sweeney ha un passato in banca ed è interessato ai diritti umani, aspetto che è riuscito nel tempo a coniugare con la sua passione per la danza. Ezzadin è un ingegnere appassionato di danza. Già dalla mission statement, ossia dal messaggio che definisce la “missione” del sito si evince l’insistere sulla passione per la danza e non su altri aspetti di carattere più professionale: «Criticaldance è un insieme di individui da tutto il mondo appassionati di danza intesa come arte performativa» [6]. La formazione dei due fondatori è parte fondamentale della visione «inclusiva» del sito, che è aperto a chiunque voglia dire la propria con commenti o anche veri e propri articoli. È grazie a questa visione che la mia presenza è cresciuta e maturata. Il sito si propone infatti «di educare, informare e di promuovere una comunità incentrata sull’arte della danza secondo una prospettiva globale e inclusiva che incoraggi discussioni aperte e molteplici punti di vista» [7].  
Questa apertura è limitata a coloro che leggono e scrivono l’inglese anche se, poco dopo la nascita del sito, è stato aperto un forum in francese che è sempre molto attivo. A me avevano chiesto, all’inizio, se vi erano gli estremi per l’apertura di un forum in italiano. In più di un’occasione ho cercato di coinvolgere amiche e conoscenti nel sito, ho chiesto loro di inserire commenti dopo aver visto uno spettacolo insieme, ma non sono mai riuscita a creare una piccola rete per poi eventualmente costituire lo scheletro di un forum in italiano. Inoltre gestire un forum in italiano avrebbe richiesto troppo tempo, non me lo sarei potuto permettere, non gratuitamente. In sostanza la politica del sito è molto aperta, anche se tuttora la matrice anglo-americana è la più influente e preponderante. Ritorniamo alla questione gerarchica di cui sopra.
Un altro aspetto è la sua complessità rizomatica, non tipica di altri siti di danza che, in molti casi, fanno capo ad una rivista cartacea la quale ha anche una versione ridotta online o comunque una pagina internet di riferimento. Esempio sono www.dancemagazine.com che rappresenta una delle riviste storiche più importanti in Nord America, e www.danceeurope.net, il sito di una delle riviste europee di danza più conosciute. www.ballet-dance.com è nato come sito internet e solo in seguito è divenuto anche rivista (non cartacea) che nasce comunque come costola del forum.
 Il forum infatti è molto articolato e si occupa di svariati aspetti del mondo della danza, da quello manageriale a quello più pratico che tratta della recensione di uno spettacolo specifico. Con Pierre Lévy potremmo dire che al suo interno si articola una vera e propria «intelligenza collettiva» [8], ossia una sinergia di saperi devota alla danza nei suoi molteplici aspetti. I collaboratori e visitatori del forum spaziano da appassionati a danzatori e coreografi professionisti, da studiosi a critici di danza. Le informazioni che vengono scambiate nel forum non sono solo di carattere personale ma includono anche innumerevoli link ad articoli e recensioni di quotidiani e riviste specializzate. Nella rivista, alla fine di ogni articolo, c’è quasi sempre un link che collega il tema trattato nell’articolo ad un post nel forum, creando così un circolo di scambio e informazioni continuo. Questo permette di avere una visione più ampia dell’argomento. Le discussioni possono nascere dalla riflessione di un collaboratore, da un articolo, da un fatto, dal tour di una compagnia, da una pubblicità. Nel gennaio del 2003, negli autobus e nella metropolitana statunitensi, è stata esposta la pubblicità della ESPN (the Entertainment and Sports Programming Network), con uno degli slogan che recitava: «senza sport, sarebbero solo delle danzatrici» insieme ad una foto delle Cheer Leaders della squadra del Dallas. Quasi immediatamente la comunità intera del mondo della danza si è ribellata e anche su www.ballet-dance.com si è accesa una discussione molto attiva che si è protratta per diversi mesi e che ha occupato circa otto pagine web [9].

La prospettiva glocale
Che cosa ha rappresentato www.ballet-dance.com per me? Ho scritto la mia prima recensione nel 2001 quando vivevo a Londra e avevo da poco conosciuto personalmente Stuart. Il mio accesso a internet era allora piuttosto limitato. Poi, nell’estate del 2002, sono tornata in Italia dove avevo la connessione internet a casa. Da gennaio 2003 ho quindi iniziato a inserire messaggi e a interagire regolarmente. www.ballet-dance.com, in quel periodo, rappresentava un modo per tenermi in contatto con il mondo globale della danza, mondo al quale non avevo più accesso vivendo in una città di provincia. Ha rappresentato una pratica a volte quotidiana, comunque costante che ha anche influito sulla mia vita offline nutrendola di informazioni e scambi importanti per le mie ricerche e non solo.
Questa interazione ha quindi contribuito a rinsaldare lo squilibrio identitario (non personale, ma di tipo accademico) che caratterizza il mio lavoro. È una tensione che definisco ‘glocale’, è di tipo quasi schizofrenico e fa parte del mio metodo di studio che oscilla costantemente fra almeno due lingue e culture come quella di matrice anglo-americana e italiana, fra almeno due linguaggi come quello della danza e della letteratura, fra almeno due location geografiche come l’Inghilterra e l’Italia. Grazie anche alla mia interazione con www.ballet-dance.com, il modello dicotomico centro-periferia che poteva strutturare la mia prospettiva, si è dissolto o si è riconfiguato in modo diverso. Si ricollega, in qualche modo, a quella che Arjun Appadurai chiama «la nuova condizione di vicinanza» [10] data dalle rivoluzioni tecnologiche come quella nata da internet e, aggiungerei, dalle compagnie di volo low cost che permettono di viaggiare con maggiore frequenza dato il prezzo accessibile e la possibilità di prenotare il volo dal proprio computer di casa.
La prospettiva glocale è quindi il frutto della mia formazione, della location geografica e mentale che mi appartiene e del tipo di collaborazione che ho con il sito stesso, che è su base volontaria. Questo comporta, da un lato, una libertà totale o quasi su cosa inserire, cosa commentare e cosa recensire (nel caso di recensioni spesso riesco ad avere l’accredito stampa), dall’altro però ne consegue che, quando non ho tempo, non recensisco nulla o non immetto nessun commento. Torniamo al discorso di Lévy sull’ «universale senza totalità». Il fatto poi che posso avere solo l’accredito stampa e non il rimborso spese, non mi permette quasi mai di andare fuori dalle Marche, dove vivo, per vedere degli spettacoli magari in centri di danza importanti come Ferrara, Reggio Emilia, Torino, Roma ecc.
Un esempio particolarmente interessante è costituito dalle recensioni e interviste che ho fatto dall’estate del 2003 a quella del 2005 in occasione del Festival estivo e della Rassegna invernale di danza a Civitanova Marche in provincia di Macerata. Non ho lo spazio per soffermarmi su questa esperienza, ma il mio lavoro su Civitanova Danza ha sicuramente portato un’attenzione particolare verso questo evento nel sito e nella rivista, mentre nessuno ha scritto o pubblicato regolarmente articoli su spettacoli avvenuti a Roma o in altri centri d’Italia. Per esempio, nel numero della rivista di agosto 2004, appare la mia recensione alla performance della compagnia di Tero Saarinen [11]. Scorrendo la pagina della rivista, si può notare che gli altri articoli riguardano centri importanti come Londra, Amsterdam e New York, poi appare il mio pezzo da Civitanova e si crea una sorta di sbilanciamento ‘localistico’.
Allo stesso tempo ho scritto articoli su spettacoli visti a Londra o a New York. Ho sempre comunque cercato di mantenere la mia prospettiva glocale e di far emergere aspetti che la comunità, principalmente anglo-americana, di www.ballet-dance.com non conosce. Per esempio, in un articolo sulla performance di addio di Alessandra Ferri a New York, ho sottolineato alcuni aspetti biografici e inserito dei commenti riferiti al personaggio che interpretava:

Il poster che ritrae Alessandra Ferri in “Manon” è una bella foto di suo marito, Fabrizio Ferri, che curiosamente ha il suo stesso cognome. Si incontrarono a Pantelleria circa dieci anni fa e si innamorarono. (…) Manon è un personaggio complesso che è spesso messo a confronto con Carmen per aver maliziosamente scelto la lussuria e non l’amore e forse perché, dopo tutto, è un’emarginata [12].

Questi commenti sono in parte influenzati da uno studio che ho fatto sulla figura di Carmen nella danza, in quanto, come vedremo, tendo a mescolare la scrittura giornalistica con quella accademica. La tensione glocale quindi segue anche un andamento trasversale che mette in relazione diversi saperi, quello giornalistico e quello accademico.

Scrivere online
La collaborazione con www.ballet-dance.com mi ha aiutato a canalizzare e maturare la mia figura di critico di danza, dandomi la possibilità di partecipare liberamente a dibattiti e pubblicare i miei articoli e interviste. Inoltre la mia formazione di studiosa e di dottoranda ha contribuito e contribuisce tuttora a complicare la mia interazione con il sito. Nel corso degli anni, la mia scrittura su www.ballet-dance.com è cambiata passando da una serie di commenti a volte di carattere ellittico o sperimentale ad articoli più strutturati e allineati con uno standard giornalistico. Questa trasformazione è avvenuta in concomitanza con i cambiamenti nella mia vita professionale e quindi offline. I miei articoli sono divenuti più complessi a seguito della collaborazione che ho intrapreso come docente a contratto presso l’Università di Macerata [13].
Il fatto poi che scrivo in inglese fa sempre parte della prospettiva glocale che mi vede come una sorta di scrittrice ‘cyborg nomade’ della danza riprendendo sia Donna Haraway che Rosi Braidotti [14].  L’inglese fa parte integrante della mia identità non solo come lingua ma come modo di essere ed è grazie all’inglese inteso in questo modo che interagisco con un sito come www.ballet-dance.com e che vivo appieno questa realtà virtuale. Allo stesso tempo, l’inglese è trasformato dalla mia identità ibrida e l’italiano contribuisce in modo fondamentale a rimodellarlo, così come la mia formazione letteraria con un taglio di genere comporta la visione di certi aspetti che altrimenti passerebbero inosservati. Citando Rosi Braidotti «il mio lavoro come pensatrice non ha una madrelingua, solo una successione di traduzioni, di sbilanciamenti, di adattamenti a condizioni che cambiano» [15].
Venendo alla mia scrittura nel sito, l’inizio, come ho accennato, si è caratterizzato per una sorta di sperimentazione data dalla passione con cui ho intrapreso questa interazione e il bisogno di esprimere il mio punto di vista. Fra i miei primi messaggi ve ne è una serie dedicata alla figura di Martha Graham che è l’oggetto della mia ricerca dal 1998. Il post era dedicato alla tournée newyorkese della rinata compagnia ed io avevo visto alcuni degli spettacoli. La maggior parte dei commenti è dedicata al dibattito sulla qualità della performance e sull’inserimento di link ad articoli di quotidiani e riviste, mentre il mio contributo è fatto di istantanee che si incentrano su aspetti particolari della performance o di Graham in genere:

Bianconero
Il bianco incontra il nero in strisce di dolore nel costume di Deep Song. Sono fianco a fianco nella lunga gonna e si incontrano in cima.
C’è un’altra striscia, una bianca, è la panchina, un magnete verso il quale la danzatrice continua a ritornare. Sembra la staccionata di Frontier, è come un’ancora di salvezza e disperazione
[16].

Questo stile poco si sposa con quello degli altri commenti, più di carattere tecnico-pratico e rappresenta una rottura con il registro generale della discussione, ma fu apprezzato proprio perché, a differenza degli altri, io ero stata presente agli spettacoli e potevo fornire una testimonianza diretta [17].
Questo tipo di scrittura ha creato, a volte, dei fraintendimenti o non è stata capita. Per esempio nel caso di una recensione alla performance di Vim Vandekeybus a Londra, ho pensato ad una struttura ispirata alla filosofia deleuziana, suddividendo il pezzo in ‘superfici’ parallele invece di paragrafi costruiti secondo una logica consequenziale:

Superficie 0: nessun tentativo logico di spiegare la danza di questo pezzo, non è possibile, troppi corpi selvaggi che vagano sul palco caratterizzato dal suo dinamismo sotto forma di un gruppo musicale che suona dal vivo e di uno schermo ‘ferito’, tagliato verticalmente così da evocare i dipinti di Fontana … una donna in bianco sembra cantare, parlare, ma oh qualcuno tenta di pulire lo spazio di fronte al suo microfono…no, in questo caso solo ad alcune superfici di questa performance sarà permesso di emergere a caso dal mio in/conscio sub/conscio…disposte in modo caotico secondo un alchemica relazione di parole [18].

In questo caso il mio pezzo non è stato pubblicato.
In seguito la mia scrittura si è fortemente adattata alla struttura della recensione giornalistica. Per esempio l’articolo che ho scritto su di una mostra su Aurelio Milloss inizia così: «Aurelio Milloss (1906-1988) è stata una figura chiave nella storia della danza italiana. Nato in Ungheria, studiò con Rudolf Laban ed Enrico Cecchetti, e creò il suo stile combinando la danza classica con la danza espressionista, conosciuta anche come Ausdruckstanz» [19]. Come si può notare lo stile è molto più tradizionale, fatto appunto per presentare, riportare un evento e non evocarne certi aspetti. Tuttavia non credo che la mia scrittura si sia piegata ad uno stile a me poco consono, forse parte della sperimentazione è confluito in una visione più complessa dello spettacolo o mostra o evento da recensire.
Concluderei dicendo che da un po’ di tempo la passione iniziale per il sito si è affievolita per diversi motivi. Il più importante è dato dalla collaborazione di carattere volontario che provoca frustrazione e non permette sempre di fare un lavoro di qualità. In questo gli amministratori sono piuttosto rigidi e, in effetti, è questa la chiave di lettura che fa della comunità di www.ballet-dance.com un esempio interessante di permeabilità, apertura e inclusività. Citando una delle collaboratrici storiche del sito, Toba Singer, internet «ha aperto l’accesso a giornalisti non tradizionali [come lei che] hanno sfidato la critica tradizionale» [20]. Internet ha dato maggiore dinamicità e visibilità alla critica della danza e www.ballet-dance.com costituisce uno degli esempi più interessanti.


[1] Ringrazio Renata Morresi per i consigli che mi ha dato durante la preparazione di questo saggio, che è il frutto di un intervento fatto al seguente convegno: Scritture di donne fra letteratura e giornalismo, Società Italiana delle Letterate e Dipartimento di Linguistica, Letteratura e Filologia Moderna, Università di Bari, Bari, 29 novembre-1 dicembre 2007.
[2] T. JORDAN, “The Virtual Individual”, in Cyberpower. The Culture and Politics of Cyberspace and the Internet, Routledge, London, 1999, p. 64. Ove non sia specificato, le traduzioni dall’inglese sono a mia cura.
[3] Per quanto concerne la riconfigurazione di autore nel mondo ipertestuale si veda per esempio G. P. LANDOW, Hypertext – The Convergence of Contemporary Critical Theory and Technology, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1992. Traduzione italiana a cura di Bruno Bassi,  Ipertesto – il futuro della scrittura, Baskerville, Bologna, 1993, si veda soprattutto il capitolo 3.
[4] JORDAN, p. 80.
[5] P. LÉVY, Cyberculture.Rapport au Conseil de l’Europe, Éditions Odile Jacob, Parigi, 1997. Trad. italiana Donata Ferodi/ShaKe,  Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, Milano, 2000, p. 108.
[6] Mission statement, «ballet-dance.com», (25 novembre 2007).
[7] Mission statement, cit..
[8] P. LÉVY, L’intelligence collective – pour une anthropologie du cyberspace, Éditions La Découverte, Paris, 1994. Trad. italiana di Maria Colò, Donata Feroldi,  L’intelligenza collettiva – per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 1996.
[9] MEHUNT [Mary Hellen Hunt], Without sports...they'd just be dancers..., post inviato il 19 gennaio 2003, «ballet-dance.com forum», <http://www.ballet-dance.com/forum/viewtopic.php?t=1591&postdays=0&postorder=asc&start=0>  (24 novembre 2007).                  
[10] A. APPADURAI, Disjuncure and Difference in the Global Economy, in Patrick Williams e Laura Chrisman, a cura di, Colonial Discourse and Post-Colonial Theory: A Reader, Western UP, New York, 1994, p. 325.
[11] «www.ballet-dance.com», agosto 2004 (24 novembre 2007).
[12] R. SIMONARI, American Ballet Theatre - 'Manon' Waving Good-Bye  to 'Manon' - Alessandra Ferri's Final Season with ABT, «www.ballet-dance.com», agosto 2007,  <http://www.ballet-dance.com/200707/articles/ABT20070611.html>  (24 novembre 2007).
[13] La collaborazione è durata per quattro anni, dall’anno accademico 2003-2004 al 2006-2007.
[14] Si veda D. HARAWAY, “A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century”, in Simians, Cyborgs, and Women – The Reinvention of Nature, Free Association Books, London, 1991, pp. 149-181 e R. BRAIDOTTI, Nomadic Subjects, Columbia University Press, New York, 1994.
[15] R. BRAIDOTTI, cit., p. 1. Da agosto 2008 ho inoltre creato un blog dove scrivo in italiano e in inglese: www.dancescriber.blogspot.com.
[16] R. SIMONARI, commento al post Martha Graham Dance Company 2002-03, «ciritcaldance forum», p. 3, (23 novembre 2007).
[17] Occorre tenere a mente che l’arte della danza è transitoria e per questo riveste particolare importanza essere presenti alle performance.
[18] R. SIMONARI, commento al post su Vandekeybus, 25 febbraio 2004, «ciritcaldance forum», p. 1, (24 novembre 2007).  Per quanto riguarda Gilles Deleuze faccio riferimento al testo, scritto insieme a Felix Guattari, Mille Plateaux, Le Editions de Minuti, Parigi, 1980, soprattutto il primo capitolo sul rizoma.
[19] R. SIMONARI, Homage to Aurel Milloss, «ballet-dance.com», Ottobre 2006, (25 novembre 2007).
[20] T. SINGER citata in Lars Russell, “A Renaissance Woman”, «The City Star», 13 settembre, 2007.


MATERIALE CONSULTATO

Documenti cartacei

APPADURAI, A., “Disjuncure and Difference in the Global Economy”, in Patrick Williams e Laura Chrisman, curato da, Colonial Discourse and Post-Colonial Theory: A Reader, Western UP, New York, 1994, pp. 324-339.

BRAIDOTTI, R., Nomadic Subjects, Columbia University Press, New York, 1994.

DELEUZE, G. e Guattari, F., Mille Plateaux, Le Editions de Minuti, Parigi, 1980.

HARAWAY, D., “A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in the Late Twentieth Century”, in Simians, Cyborgs, and Women – The Reinvention of Nature, Free Association Books, London, 1991, pp. 149-181.

JORDAN, T., “The Virtual Individual”, in Cyberpower. The Culture and Politics of Cyberspace and the Internet, Routledge, London, 1999, pp. 59-99.

LANDOW, G. P., Hypertext – The Convergence of Contemporary Critical Theory and Technology, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1992. Traduzione italiana a cura di Bruno Bassi,  Ipertesto – il futuro della scrittura, Baskerville, Bologna, 1993.

LÉVY, P., L’intelligence collective – pour une anthropologie du cyberspace, Éditions La Découverte, Paris, 1994. Trad. italiana di Maria Colò, Donata Feroldi,  L’intelligenza collettivaper un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 1996.

LÉVY, P., Cyberculture.Rapport au Conseil de l’Europe, Éditions Odile Jacob, Parigi, 1997. Trad. italiana Donata Ferodi/ShaKe,  Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, Milano, 2000.

SINGER, T., citata in Lars Russell, A Renaissance Woman, «The City Star», 13 settembre, 2007.

Documenti in rete

«www.ballet-dance.com», agosto 2004 (24 novembre 2007).

MEHUNT [Mary Hellen Hunt], Without sports...they'd just be dancers..., post inviato il 19 gennaio 2003, «ballet-dance.com forum», <http://www.ballet-dance.com/forum/viewtopic.php?t=1591&postdays=0&postorder=asc&start=0>  (24 novembre 2007). 

Mission statement, «ballet-dance.com», (25 novembre 2007). 

SIMONARI, R., American Ballet Theatre - 'Manon' Waving Good-Bye  to 'Manon' - Alessandra Ferri's Final Season with ABT, «www.ballet-dance.com», agosto 2007,  <http://www.ballet-dance.com/200707/articles/ABT20070611.html>  (24 novembre 2007).

SIMONARI, R., Homage to Aurel Milloss, «ballet-dance.com», Ottobre 2006, (25 novembre 2007). 

SIMONARI, R., commento al post su Vandekeybus, 25 febbraio 2004, «ciritcaldance forum», p. 1, (24 novembre 2007). 

SIMONARI, R., commento al post Martha Graham Dance Company 2002-03, «ciritcaldance forum», p. 3, (23 novembre 2007).

sabato 26 maggio 2012

tesi di dottorato in the city


A che serve scattare le foto della tua tesi di dottorato in vari spazi urbani? Serve a far respirare le pagine di quel libro in modo differente e serve a farle mescolare con il luogo in cui hai vissuto mentre le scrivevi.

Scrivere la mia tesi di dottorato è stata un'esperienza dolorosa, ma lavorare alla sua revisione dopo la discussione (prassi abbastanza comune nelle università inglesi) è stato devastante (complice una serie di problemi legati al lavoro - in quanto studio e lavoro - e alla famiglia). Infatti è stato così devastante che sono riuscita a stampare la mia copia della tesi solo in questi giorni, mesi dopo la consegna della revisione finale.

Imbarcarsi in un dottorato di ricerca è rischioso e di solito lo si fa senza capire veramente che tipo di sacrifici ti aspettano. Ci sono anche grandi soddisfazioni, un intervento ad una conferenza riesce particolarmente bene, un tuo saggio viene pubblicato in una rivista prestigiosa e la tua supervisor ti fa i complimenti per un capitolo particolarmente ben scritto. Certo, però è un'avventura estremamente solitaria, specialmente se la intraprendi (come è successo a me) in qualità di studente a distanza e quindi isolata dalla comunità accademica e dai centri di ricerca importanti (biblioteche o altri luoghi inerenti i tuoi studi) .

Ancora non riesco a credere che sia finita e ancora non riesco a celebrare questo evento (che per ora suona più come l'elaborazione di un lutto) per cui ho deciso di portare la mia tesi in giro per la mia città. Eccola ai piedi del Centro Studi Libertari Luigi Fabbri, circolo anarchico che amo frequentare da un po'. Cosa ha a che fare la mia tesi su Letter to the World di Martha Graham con un centro sociale anarchico? Forse nulla, forse tutto. Fare ricerca è anche mettere in discussione le regole del gioco pure a costo di remare sempre controcorrente (mi accade da un po').

Una piccola sosta ai due bar/caffé che amo forse di più da queste parti: il Caffè del Teatro e la Tartaruga Magica. L'uno offre un'atmosfera vivace e un continuo viavai di gente, mentre l'altro ti accoglie con un ambiente confortevole e a volte riposante. Dopo aver spedito la tesi, in questi due luoghi ho ricostruito parte della mia vita sociale e devo molto alle persone che vi ho incontrato.

E poi il viale alberato che mi conduce al centro, il viale testimone di tante riflessioni solitarie e meditabonde. Qui la mia tesi deve sentire il profumo delle foglie e il canto degli uccellini, canto e volo che mi hanno accompagnato spesso in evoluzioni teoriche ed emozinonanti.

Nei giardini pubblici vi è un albero particolare che associo a Martha Graham per la forma ricurva del tronco. Esso infatti ricorda il torso di una danzantrice mentre esegue la contrazione (contraction), ossia un movimento del torso che spesso gli dà la forma di una curva. Qui la tesi trova forse un possibile compagno di merende (potrei portarcela regolarmente e ritrovarne magari il senso).
 
Infine la pensilina dell'autobus di fronte casa mia. Un luogo per me simbolico ed evocativo. Un luogo di attesa e di osservazione, un luogo che spero mi aiuterà ad elaborare il lutto. Un lutto fatto di delusioni e rabbia (il mondo accademico è un inferno per chi non è ben definibile professionalmente come me) ma anche voglia di mettersi in gioco e di continuare a lottare.





mercoledì 25 aprile 2012

il mare di mezzo

Gabriele Del Grande, Il mare di mezzo al tempo dei respingimenti (Roma: Infinito Edizioni, 2010).


Questo è un libro importantissimo. Pubblicato nel 2010, è ancora un'inchiesta preziosa per capire cosa è accaduto nel Mare Mediterraneo, il mare di mezzo, quel mare situato in una zona strategica per il flusso immigratorio dalle coste africane. Quel mare che vede le proprie acque abitate da una marea (è proprio il caso di dirlo) di cadaveri. Grazie anche a questa inchiesta di Gabriele Del Grande, si può capire meglio la primavera araba e soprattutto si può constatare come dietro a quelle che i media di solito dipingono come traversate disperate, vi siano storie e volti che restano impresse nella mente come incisioni sulla carne. Del Grande ha viaggiato fra Africa e Italia per tre anni per raccogliere testimonianze, analizzare fatti e fare domande scomode su ciò che è accaduto a migliaia di immigrati, molti dei quali scomparsi e molti altri costretti al rimpatrio.

Narra per esempio la storia di Kamel, un padre algerino alla ricerca del figlio scomparso, un padre che non si rassegna all'idea che il figlio possa essere naufragato in mare e, assieme all'avvocato Boubacar, si informa, cerca e ancora cerca: "Gli altri familiari si erano rassegnati all'idea che i figli fossero morti in mare e che i pesci avessero divorato i loro cadaveri. E non volevano sapere nient'altro. Non era così per Boubacar e Kamel. Tanti ragazzi non potevano essere spariti nel nulla. Ci doveva essere qualcosa dietro. Per questo non si erano mai dati per vinti".

Affronta inoltre l'amarissima questione delle traversate, i salvataggi e le tragedie, che in alcuni casi potevano essere evitate: "Di eritrei nel Canale di Sicilia ne erano morti a centinaia negli ultimi dieci anni. Ma a prendersi le loro vite era sempre stato il mare grosso. E mai la negligenza dei soccorritori. E degli intermediari. La rabbia dei parenti si rivolgeva anche e in primo luogo contro di loro."

L'inchiesta è suddivisa in sei parti: i padri, i padrini, diaspore, sogno in due tempi, criminali di pace e ailatiditalia. La sua scrittura scorre fluida e sicura, le storie che racconta sono ricche di dettagli, dal cibo che consuma nei viari posti che visita per effettuare le sue ricerche alle atmosfere dei luoghi, sia che si tratti della città algerina di Annaba alla vigilia della partita fra Algeria ed Egitto, che dei capannoni occupati di Rosarno. Particolarmente efficace è la parte dedicata alle traversate dei barconi nel mare di mezzo. Del Grande alterna i dati e l'analisi della sua inchiesta con uno scritto di Giorgio Gaber, "Sogno in due tempi", che dipinge il rapporto io/altro in modo tagliente e graffiante.

sabato 14 aprile 2012

i live inside a black hole

I live inside a black hole
it is dark in here
nobody ever comes over
for a visit

black birds do come to
keep me company

darkness can be a nice place
if inhabited with a sense of self
my self makes sense to me
it probably does not to those who keep me here...tough shit!

venerdì 6 aprile 2012

omaggio a martha graham

Il prossimo 11 aprile si terrà a Roma, presso la Facoltà di Lettere dell'Università La Sapienza, una giornata di studi dedicata a Martha Graham organizzata da AIRDanza (Associazione Italiana per la Ricerca in Danza). Io faccio parte del comitato scientifico e introdurrò la sezione video oltre che parlare della coreografia Letter to the World. Qui di seguito i dettagli del programma:

domenica 1 aprile 2012

interview with Fernando Suels Mendoza

My interview with Fernando Suels Mendoza has been published by ballet-dance.com, here is the link.

sabato 31 marzo 2012

i wish

Is this desire? (P. J. Harvey)

I wish my deepest desires would not
stay
still underneath my skin

I wish they could move out
of those dark recesses
and explode
in all their fiery
flow

mercoledì 14 marzo 2012

dead or alive

ballet-dance.com has recently published a feature article I wrote on Graham's legacy twenty years after she passed away, here is the link. It has been a difficult and exciting article to write!

whale talking - new series (6)

"The whale is dead! The whale is dead!",
some were shouting from afar...

Where was I?
Was I beside the whale?
Was I inside the whale?
Was I the whale?

I did not know,
I just knew they were coming
to collect my corpse...

mercoledì 22 febbraio 2012

done into dance

Ann Daly, Done into Dance – Isadora Duncan in America [1995] (Middletown: Wesleyan University Press, 2002).


This is a masterpiece of cultural history. Ann Daly manages to bring to life an iconic figure such as Isadora Duncan in a fresh and stylish way, going beyond the romantic stereotypes surrounding her legend and tracing an exceptionally well-researched portrait.

This is not a biographical work, but rather a monograph that looks at Duncan’s life and work from “a massive void” in what we could call the Duncan Studies, that is her body. As is known, in fact, there is basically no video available of her performances and most of the photographs we have were taken in a studio and were, therefore, carefully constructed.

Daly focuses on Duncan’s body from different angles. She dedicates a chapter to her dancing body which was the result of three interconnected “American movement traditions: social dance, physical culture, and ballet”. From the first tradition, Duncan gained the idea of dance “as a model of social, sexual, and moral behaviour”; from the second, the belief that dance could improve individual as well as collective body-and-mind conditions; from the third, she obtained material she could go against.

Another chapter is dedicated to the dancer’s natural body, a pure and powerful construction. Duncan repeatedly talked of the Greek culture as a culture in close connection with nature and “narrativized the origin of her identification with ‘Nature’”. This was a kind of nostalgic and bucolic response to the rise of modernity. In this sense, a famous painting from the Italian Renaissance, Botticelli’s Primavera, is used by Daly to exemplify Duncan’s complex relationship with what she saw as Nature.

Daly’s book is also highly informative of the period and cultural movements that influenced Duncan’s work, such as the so called “Delsarte System of Expression”, which

Established a harmonious theory of the human system: first, life, the sensitive state of the vital realm, expressed through the limbs and excentric (outward) motion; second, soul, the moral state of the moral realm, expressed through the torso and balanced motion; third, mind, the intellectual state, expressed through the head and concentric (inward) motion.

Delsarte’s theories were reshaped in the United States by his follower, Steele MacKaye and, more successfully, by MacKaye’s student, Genevieve Stebbins, whose work was quite influential among, besides Duncan, other modern dancers like Ruth St. Denis.

Through Daly's analysis, Duncan emerges as still a fundamental figure in dance and cultural history, but with a more refined and detailed contour. Daly’s study is also filled with beautiful photographs and artworks inspired by Duncan's dancing image.

sabato 4 febbraio 2012

ritmo di parola e gesto

Questa intervista si può anche consultare sul numero 155 (aprile-maggio-giugno 2012) della rivista Leggere Donna (pp.33-34).

RITMO DI PAROLA E GESTO: INTERVISTA A VALERIA SIMONE
Ruvo di Puglia, 22 maggio 2011

Il teatro-danza della drammaturga e regista Valeria Simone è costituito da visioni raffinate e
rarefatte al centro delle quali alberga la vita delle donne, complessa, fragile, forte. Nel 2003 Simone ha esordito con lo spettacolo Things. Tra i mondi di Francesca Woodman, ispirato all’immaginario elegante e sfuggente della giovane fotografa nordamericana. Nel 2006 ha iniziato un percorso sulla vita delle donne ai margini, come le donne vittime di tratta o quelle chiuse in carcere. Sono così nati No-body (2006) e Si por hazar (2009), che ha vinto il premio per la drammaturgia contemporanea Mai detto m’hai detto promosso dal FORMATI e dall’Amat della regione Marche. Ultimamente ha scritto lo spettacolo per bambini e ragazzi, Nina e le nuvole, prodotto dalla Compagnia Menhir, diretto e coreografato da Giulio De Leo. Ho incontrato Simone nella sua deliziosa casa di Ruvo di Puglia, una cittadina di luce e pietre bianche.

Come è nato il tuo interesse per il teatro?
Tantissimo tempo fa, durante la scuola media. Avevo un professore di italiano illuminato che invece di fare il programma canonico ci faceva metter in scena Eduardo de Filippo. E quindi ho iniziato a leggermi tutto de Filippo, tutto Shakespeare e molto presto ho iniziato a leggere i classici del teatro. Da lì è nata la mia passione.

E la danza?
Dai sei agli undici anni ho studiato danza classica. E a sei anni ho scritto la mia prima poesia dedicata a Tersicore.

In che modo ha preso corpo il tuo primo spettacolo?
Il mio primo spettacolo è stata una riscrittura in francese di Alice nello specchio di Lewis Carroll fatta assieme a Coralie Grelaud. L’abbiamo presentato al festival di Castiglioncello con il titolo Miroir d’Alice. Però il primo spettacolo che ho scritto e diretto si chiama Things – tra i mondi di Francesca Woodman.

Quindi il tuo lavoro ha preso il via da un impulso visivo che poi ricorre anche in altre tue opere.
Nel caso di Francesca Woodman ho amato moltissimo le sue foto che sembrano creare dei mondi paralleli e ho avuto il desiderio di ricreare quei mondi in scena, perché avevo la sensazione che ogni foto raccontasse una storia e raccontasse un aspetto misterioso della femminilità e quindi tutto si è costruito intorno alle sue foto. Invece per quanto riguarda lo spettacolo successivo, quello sulla tratta delle donne, mi ha ispirato molto l’opera della scultrice fiamminga Belinde De Bruyckere, però in quel caso non sono partita dalle sue sculture, ma mi è sembrato che le sue sculture fossero la rappresentazione di quello che io volevo raccontare.

Una volta che è stata scritta la drammaturgia il tuo lavoro cambia durante la messa in scena? Quando inizi a lavorare con gli attori-danzatori? Oppure sei abbastanza ferma nel far rispettare una battuta, nel far rispettare un movimento.
Di solito sono molto ferma, nel momento in cui si è fissato il testo e si è fissata la partitura del movimento…è anche vero che decido di fermarli dopo averli sperimentati tantissimo. Il testo non lo scrivo mai prima di creare le scene, le creo insieme. La versione definitiva è il frutto di una lunga sperimentazione che avviene prima.

Come interagisce la scrittura verbale con quella gestuale, visto che nei tuoi spettacoli c’è spesso una parte danzata?
Intanto sono complementari ma sono anche, in un certo senso, affini, perché la parola cerca sempre di seguire il ritmo del gesto. Ci tengo ad usare delle parole che abbiano un ritmo preciso.

Nei tuoi lavori hai trattato temi importanti come la tratta o la vita delle detenute. Che cosa ti porta a scegliere questo tipo di temi?
Sento molto il bisogno di raccontare le storie di donne che vivono in condizioni di marginalità sociale, la loro storia è parte della mia in quanto donna. Per me è anche importante costruire un immaginario che andrà in scena attraverso la conoscenza diretta di queste donne. Non riuscirei a raccontare la storia di qualcuno o di una realtà che non ho mai conosciuto. Conoscere, parlare, condividere dei momenti, sia con le donne vittime di tratta che con le detenute, è stato fondamentale.

Per quanto riguarda Nina e le nuvole, per la prima volta hai scritto per qualcun altro.
È stata una bellissima esperienza perché la scrittura per qualcun altro prende molto la forma di un dono e quindi è molto importante stare in ascolto anche delle esigenze del gruppo, nel senso che era importante che quello che io scrivevo fosse molto in sintonia con la forma che stava prendendo la coreografia e la regia, quindi è stato davvero un lavoro di gruppo. Molto diverso da quando ho scritto dei testi per me, in quanto seguivo un immaginario che era solo mio, mentre in questo caso dovevo stare molto in ascolto dell’immaginario degli altri. Quindi è stato un lavoro di grande ascolto e di dono, spesso dovendo anche rinunciare a una forma che a me piaceva di più.

E poi è uno spettacolo pensato per bambini e ragazzi, questo ti ha condizionato? Ha cambiato il tuo modo di scrivere?
Ha cambiato tantissimo il mio modo di scrivere, perché il linguaggio dei bambini è un linguaggio molto diverso. È stato strano perché quando scrivo i miei spettacoli uso liberamente lo stile che sento più efficace in quel momento che di solito è quello vicino alla lirica, alla scrittura in versi, perché rispetta il ritmo del movimento. In questo caso invece la struttura drammaturgica è stata riempita molto dai dialoghi, quindi questa è stata già una novità per me e sentivo che era importante perché per far parlare quei personaggi c’era bisogno di una struttura diversa. È stata la prima volta inoltre che ho scritto per i bambini e ho sempre cercato di immaginarmeli davanti in quel momento, però, allo stesso tempo, ho cercato di immaginarmi davanti anche gli adulti, quindi ho sperato che la scrittura potesse avere un doppio strato di significato, uno che funzionasse per entrambi.

E lo spettacolo in sé conserva un afflato poetico. Che ne pensi dello spettacolo? Di che cosa tratta?
Lo spettacolo su un piano puramente narrativo racconta il viaggio di Nina, un cigno che vive nel nord e che durante l’autunno decide di andare verso il sud perché associa il grigio e le nuvole alla tristezza e quindi decide di andare verso il sole sperando di trovare lì la gioia che non trova a nord. Incontrerà un’amica, il cigno Annika e affronterà con lei numerose difficoltà. Per me questo spettacolo si incentra sulla capacità di guardare la realtà. Infatti all’inizio Nina guarda il mondo umido e piovoso e per lei è un mondo di tristezza. Invece dopo il viaggio Nina vede le cose in modo diverso, ha recuperato l’aspetto anche magico, positivo della vita. Pensando al pubblico adulto, Annika e Nina rappresentano i due aspetti della psiche femminile, quello più coraggioso e avventuroso e quello più prudente, che ha bisogno di vedere le cose, di capirle.

Che ne pensi della messa in scena?
La messa in scena a me è piaciuta moltissimo, credo che sia molto equilibrata, leggera e anche poetica.

E dei costumi, le luci, la musica?
Ho amato molto le musiche di Livio Minafra…e penso che davvero siano in sintonia con il messaggio del cambiamento e dell’esplorazione di sé. Credo che la compagnia abbia fatto un buon lavoro per quanto riguarda la scelta degli oggetti e dei costumi curati da Porziana Catalano e Iole Cilento, è un lavoro che ha rispettato molto quello che si andava creando. Tutti i collaboratori hanno lavorato fianco a fianco.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Mi piacerebbe scrivere un testo sulle badanti. Vorrei continuare ad esplorare la condizione delle donne che si trovano in situazione di marginalità sociale. Non so ancora se vorrò occuparmi della regia o se mi piacerebbe trovare qualcuno a cui donare questo testo.

nota - le foto raffigurano Si por hazar, No-body e Nina e le nuvole.

albero, ecologia dell'anima (recensione)

Questa recensione sarebbe dovuta apparire su di una rivista cartacea, ma per problemi vari la pubblicazione non si è potuta fare. Per questo, in forte ritardo, ho deciso comunque di pubblicarla qui.

ALBERO, ECOLOGIA DELL'ANIMA
Mostra di pittura di Elisa Latini
Jesi, Palazzo dei Convegni, 31 maggio 2011

Dal 27 maggio al 4 giugno 2011, il Palazzo dei Convegni di Jesi ha ospitato la mostra di pittura di Elisa Latini, una giovane artista del luogo che ha presentato il frutto di una ricerca durata più di due anni. Il titolo, “Albero, ecologia dell’anima”, evidenzia il fulcro del suo studio, l’albero, e le risonanze ad esso collegate. L’albero ha una ricchissima presenza nella storia e cultura dei popoli e Latini ne ha trasfigurato l’immagine per dar corpo al suo essere una presenza spirituale e, appunto, ecologica. Gli alberi dipinti sono soprattutto alberi che popolano la città di Jesi, alberi che magari spesso si incontrano in città ma che, altrettanto spesso, vengono ignorati o, ancor peggio, dati per scontati. L’artista ci invita quindi a riflettere sul paesaggio che caratterizza la nostra quotidianità e ad osservarlo con occhi nuovi.
I suoi dipinti non sono puramente figurativi, ma riprendono le suggestioni cromatiche date da un tramonto o dall’effetto della luce tra i rami per indagarne gli elementi introspettivi. Latini utilizza una tecnica che coniuga l’impiego di tratti fatti a penna con pennellate morbide e raffinate. L’istallazione dei quadri segue un’idea precisa di sacralità. Essi sono appesi alle pareti dello spazio espositivo, ma sono anche appesi a dei pannelli in legno che sono stati pensati e modulati a seconda del quadro che dovevano ospitare. I pannelli sono situati al centro attorno ad un gruppo di piantine di querce e lecci. Questa scelta sembra voler stabilire una connessione fondamentale tra il ‘bosco’ costituito dai quadri e quello fatto di terra, radici e foglie.
La prospettiva di molti dei dipinti è dal basso verso l’alto ed è indicativa, da un lato, del profondo rispetto che l’artista ha per queste creature e, dall’altro, della piccolezza dell’essere umano nei confronti della natura, aspetto troppo spesso sottovalutato. Questa prospettiva, ci ricorda Latini, è inoltre associata all’immagine dell’albero come protettore. L’albero ci protegge dal sole e la sua stazza infonde un senso di sicurezza. Un quadro, in particolare, presenta un cedro del Libano visto dal basso. La luce che penetra tra i rami crea un perfetto gioco di linee e diagonali e produce un senso quasi di stupore di fronte alla sua maestosità.
Il 31 maggio si è tenuto un incontro sull’albero che ha visto la mostra di Latini come il luogo ideale per uno scambio di riflessioni. Se Latini ha esordito parlando delle affinità fra alberi e esseri umani, il direttore del parco Gola della Rossa, Massimo Scotti, ha sottolineato “l’importanza dei boschi per il servizio ecosistemico”. Dopo di lui, il grafico e illustratore Danilo Santinelli ha fornito delle coordinate iconografiche collegando l’albero al “concetto della crescita” e all’unione di diversi elementi come la terra (le radici) e l’aria (tronco e rami). L’agronomo, Riccardo Frontini, ha parlato dell’albero come creatura che va curata e trattata con attenzione, sottolineando come il lavoro di Latini mostri quasi l’anima che lo caratterizza. Infine, l’insegnante di scuola elementare, Rosaria Nalli, ha presentato un video del laboratorio sull’albero fatto in collaborazione con Latini stessa, per portare la conoscenza e consapevolezza della sua presenza anche fra i bambini, che saranno gli adulti di domani.

nota - si veda anche l'intervista che ho fatto all'artista, qui.

venerdì 6 gennaio 2012

expression in the performing arts

Expression in the Performing Arts is the Conference Procedings of a very stimulating conference I have been to in 2008. Here you can find the book details. This post is about the editing of my essay, "Is a Word Dead When It Is Said?: Relationship Between Text and Performance in Martha Graham's Letter to the World". On the first page of my essay there is a serious editing mistake which is not my own. The mistake consists in definying North American poet Emily Dickinson an 'English writer'. The editors of the volume have assured me that should a reprint be done, the mistake will be corrected, but, in the meanwhile, those who happen to read my essay and have some basic notions of North American literature might think I am an incompetent on the matter, which is untrue, given the fact that I graduated in Anglo-American literature at University and have written my PhD thesis on North American culture. That is why I have decided to write this post.