One Billion Rising (un miliardo di persone che si alzano) è
un evento globale organizzato e promosso da V-Day, un’organizzazione no-profit
nata dal monologo teatrale e libro di Eve Ensler, I monologhi della vagina
(1996), organizzazione che si dedica a creare eventi per combattere la violenza
contro le donne. Il 14 febbraio 2013 V-Day compirà quindici anni e One Billion
Rising è stato organizzato per celebrare questo risultato. Donne (e in teoria
uomini) in tutto il mondo sono invitati ad alzarsi e danzare per protestare
contro la violenza sessuale nel giorno in cui un ideale romantico e
stereotipato di amore viene celebrato. San Valentino deve essere abbastanza
arrabbiato di questo e neanche l’incredibile giro di denaro che lo circonda
farà i salti di gioia! Ma che bella idea, mi sono detta. Ecco perché mi sono
unita al gruppo di donne che organizza l’evento nella mia città. Tuttavia, poco
dopo un sotterraneo fastidioso prurito ha iniziato a svilupparsi dentro di me. Danzare?
Che tipo di danza? E come sarà messa
in scena?
Secondo un rapporto della UN Women del 2003, una donna su
tre nel mondo è stata stuprata o picchiata durante la sua vita, a detta del sito
di One Billion Rising. Questo equivale ad un miliardo di donne, “un miliardo di
donne violate è un’atrocità. Un miliardo di donne che danzano è una
rivoluzione”. Eve Ensler sottolinea che
La danza è
pericolosa, gioiosa, sensuale, sacra, di disturbo, contagiosa, infrange le
regole. Può avvenire ovunque, in qualsiasi momento, con chiunque ed è libera.
Il danzare insiste sul fatto che noi prendiamo spazio e stiamo insieme. La
danza ci unisce e ci spinge ad andare oltre ed è per questo che è al centro di
ONE BILLION RISING.
In questa affermazione non vi è nessun riferimento specifico
a nessun tipo di danza e l’idea che la pervade è che la danza sia la cura di
ogni malattia, il che non è vero. La coreografia creata dalla star televisiva
della serie TV Saranno Famosi, Debbie Allen, consiste in piccoli passi fatti
sul posto, in avanti, ai lati e indietro. È abbastanza semplice e di grande
effetto quando danzata da un gruppo. Non rappresenta la violenza, non ha pathos,
è piuttosto una danza di gioia. Forse un altro tipo di approccio al movimento
sarebbe stato più potente. Come Maria Chiara, una mia amica ha suggerito,
potremmo distenderci per terra in silenzio o forse potremmo restare fermi in
una posa particolare per un minuto (danzare è anche restare fermi). Questo è un
punto importante in quanto la danza può essere una buona idea per un progetto
come questo, ma penso che dovrebbe essere più intrinsecamente collegata alla
questione, dovrebbe far riflettere le persone sulla violenza contro le donne,
non divertirsi nella speranza di combatterla. Il fastidioso prurito torna a seccarmi.
Penso all’Italia e a quanto scoraggiante sia il modo in cui
la danza è percepita. Negli ultimi venti anni circa, l’Italia è stata infestata
da quello che comunemente viene conosciuto come ‘velinismo’, ossia degli atti
di non particolare significato interpretati da show-girls inesperte, atte anche
a danzare numeri malamente. Questo trend è nato alla metà degli anni Novanta
con lo show televisivo Striscia la notizia di Antonio Ricci trasmesso su Canale
5, una delle reti di Silvio Berlusconi e si è diffuso nella televisione
italiana con il risultato di denigrare le donne in generale e le danzatrici in
particolare. Questo nonostante vi siano numerose compagnie di danza, molti
gruppi di persone che davvero studiano seriamente la danza e producono lavori
interessanti. Ecco perché promuovere un evento con donne che si alzano e
danzano mi suona strano. E gli altri paesi che hanno aderito alla campagna? In
altre parole, il danzare ha molte implicazioni e significati in differenti
paesi, il team di One Billion Rising ha pensato a questo aspetto?
E poi rifletto sulla portata di questa campagna che è globale. È
una chiamata gobale ad agire. Il sito è organizzato benissimo con un elenco di
più di sessanta lingue (tradotte con il traduttore google però), una serie di
strumenti e consigli per coloro che vogliono aderire, un blog, una sezione con
le novità, molto materiale video, diverse affermazioni e una sezione dove si
può condividere il piano del progetto della propria città. Se non fosse per la
sua nobile causa, sembrerebbe una gigante campagna di marketing per omologare
e, come ha sottolineato un’altra mia amica, spettacolarizzare la violenza
contro le donne. È vero, chi aderisce è abbastanza libero di decidere che
musica mettere, che tipo di danza fare e così via. Eppure sembra un evento di
marca. Per fare un esempio, l’ingegnoso logo rosso, la stilizzazione di una
donna con i fianchi ampi (ricorda le piccole statue delle dee madri
preistoriche) con una V bianca stampata sulla vagina (naturalmente!), apparirà
ovunque e ridurrà le differenze fra i paesi che partecipano. Ensler, in un recente
video girato a Londra, sottolinea il fatto che la violenza contro le donne è un
problema “globale, patriarcale, epidemico”, ma è positivo affrontarlo in questo
modo? Penso sia una questione
controversa insita nel progetto.
Come lo è il sottostante femminismo essenzialista promosso
da Ensler, il cui tono troppo politically correct e idealistico pervade tutta
la questione. Il testo dell’inno della campagna “Break the Chain” (spezza la
catena) di Tina Clark è esemplare: “Questo è il mio corpo, il mio corpo è sacro
/ niente più scuse, niente più abusi / siamo madri, siamo insegnanti /siamo
splendide, splendide creature”. Definire le donne come madri e insegnanti ripristina
quello che le femministe e molte altre donne e uomini hanno tentato di
decostruire durante gli ultimi quaranta anni, ossia l’associazione
essenzialista tra donne, riproduzione e la cura, una cosa alquanto deprimente.
Anche leggendo La preghiera di un uomo di Ensler (una buona idea a modo suo) ci
si confronta con l’illusione che tutto andrà bene (la preghiera termina di
nuovo con un riferimento alla maternità!), che la violenza contro le donne sta
per finire. Questo tono è stato probabilmente usato per mettere d’accordo più
persone possibili. Il che va pure bene, come ho già detto, prenderò parte
all’evento, ma il mio fastidioso prurito resta, in quanto, nel profondo, sento
che eventi come questo, un gigantesco evento di un giorno che è così eccitante
e che include così tante persone, non cambierà veramente le cose. Dopo aver
danzato insieme, quante donne torneranno a casa e decideranno di ribellarsi se
il loro marito le picchia? E quanti mariti violenti rifletteranno sul loro
desiderio di picchiare le loro mogli?
Secondo la giornalista del Guardian, Vanessa Thorpe, Ensler
ha fatto un paragone interessante fra la sua campagna e “l’attivismo nel mondo
arabo”, ma ci sono differenze sostanziali. La campagna di One Billion Rising è
stata organizzata dal V-Day che è una ben radicata istituzione no-profit
statunitense, mentre la primavera araba è stata un sollevarsi della gente
comune contro un sistema che la governava. La prima tiene una prospettiva
verticale, dura per alcune ore e probabilmente disturberà più che altro
il giorno di San Valentino, la seconda si è mossa orizzontalmente, è
durata giorni, settimane, mesi (in Siria stanno ancora morendo!) e ha tentato e
in parte è riuscita a sovvertire il sistema che governava queste persone.
In qualche modo questa campagna è un altro esempio
meraviglioso della nostra società schizofrenica dove il significato delle cose
è stato sostituito dal suo corrispondente nel mercato, che ahimé è vuoto…la
violenza contro le donne è un problema complesso intrinsecamente collegato alla
cultura, l’economia, la scienza e la tecnologia. Dovremmo guardarlo da un punto
di vista più ampio e affrontare queste sfere. Come sono rappresentate le donne
nei media e nella cultura in generale? Come si collega questo elemento al
senso di possesso che gli uomini di solito sviluppano nei loro confronti? Le
donne dovrebbero essere economicamente indipendenti dagli uomini, ma l’economia
odierna, almeno in Italia, non è a misura di donna per nulla. Le donne, poi,
sono le vittime del controllo biopolitico sofisticato sui loro corpi (per
citare Michel Foucault e Rosi Braidotti) come accade per lo stupro come arma di
guerra.
Oggi mi unirò alla causa di Ensler (assieme al mio sempre
presente fastidioso prurito comunque) e prenderò parte all’evento nella mia
città. Ensler stessa ha affermato che questo è l’inizio di un cambiamento reale
e che per tutto l’anno dovremmo pensare a cosa possiamo fare per combattere la
violenza contro le donne. Forse potremmo iniziare danzando in modo differente,
portando un po’ di pathos in passi che possano esprimere la complessità della
questione e non dovremmo farlo ovunque, ma in posti specifici di potere che
contribuiscono a perpetrate questa dolorosa atrocità, come le banche o le sedi
dei quotidiani. Infine non dovremmo farlo solo per un giorno, ma ogni giorno
come è accaduto per le proteste nel mondo arabo o, in ogni caso, regolarmente,
tipo ogni settimana come è accaduto con la protesta veramente rivoluzionaria
delle Madri di Piazza di Maggo in Argentina che hanno trasformato la maternità
in un appello sociale per la giustizia. Ecco, il mio fastidioso prurito si sta
calmando ed ora sono pronta per danzare!