Rosella Prezzo, Veli d’Occidente. Temi, metafore, simboli, Milano, Bruno Mondadori, 2008.
In questo breve studio
densissimo di riflessioni, analisi e spunti, Rosella Prezzo mostra la
complessità che si cela dietro questo oggetto/tessuto-non-tessuto che è anche
tema ricorrente nella cultura occidentale, metafora importante in ambito
filosofico e non solo e simbolo potente dell’Alterità.
In principio era il velo,
ci dice Prezzo, poiché è presente in tutte e tre le maggiori religioni
monoteistiche, l’ebraica, la cristiana e l’islamica. Lo stesso termine
‘rivelazione’ ci parla dell’ambiguità e forza significante del velo, “al verbo
rivelare diamo in genere il significato di “rimuovere dal velo”, scoprendo
qualcosa che era nascosto e può così venire alla luce”. Se nella religione
ebraica il velo è simbolo dell’inaccessibilità di Dio, nella religione
cristiana il velo viene lacerato da Dio che si fa corpo in Cristo. Nella
religione islamica è il velo di Khadija, moglie di Maometto a svelare la
presenza divina.
Il velo appartiene
all’origine, ma il velo ritorna anche in ambito filosofico con le disquisizioni
di Sartre, Rousseau, Kant, Kierkegaard, Nietzsche, Freud e Lacan, laddove il
velo viene in più di un’occasione legato al femminile, che vede nel culto di
Iside, la dea velata, un’incarnazione importante, “la verità si rivela allora
la ‘verità’ dei filosofi, verità sospesa tra virgolette, lievitata
sull’illusione, l’incanto, il sogno, la volontà di dominio e il risentimento”.
E il velo che portano le
donne? È questa la parte più affascinante del testo, poiché questo è il velo
più conosciuto e oggetto di controversie, soprattutto per quanto concerne
l’Oriente, o meglio la visione che l’Occidente ne ha fatto. Ma anche in questo
caso, il velo è radicato nelle tradizioni di vari paesi del mondo e in
Occidente lo ritroviamo sul capo della sposa, come su quello della donna in
lutto e sulle suore, spose di Dio. Il velo, in questi casi, segna un limite e
un confine, un cambiamento di stato, “il rito del velamento/svelamento nuziale
rimanda anche all’origine della filosofia greca, laddove essa s’intreccia
strettamente con le culture orientali, in particolare mesopotamica ed egizia”.
Nel Cristianesimo il velo
esemplifica la gerarchia tra uomini e donne ed è l’apostolo Paolo di Tarso che
nella Prima lettera ai Corinzi, scrive che l’uomo può avvicinarsi a Dio a capo
scoperto, mentre la donna deve farlo a capo coperto, se non vuole recare offesa
al suo “capo”, il velo è quindi segno della dipendenza della donna dall’uomo,
suo intermediario per arrivare a Dio. Il velo è anche “luogo della mente”, dove
“si è da lungo fissata l’immagine proiettiva dell’Occidente sull’Oriente
islamico”. Il velo diviene centro di scontri e simbolo politico dell’identità
islamica. Ma cosa dicono le donne del mondo arabo a tal proposito? Prezzo
sceglie quindi di terminare il testo con una bellissima carrellata di voci di tre
intellettuali femminili, la marocchina Fatima Merinissi, l’algerina Assia
Djebar e la francese algerina Leïla Sebbar, ognuna delle quali decostruisce in
modo esemplare i significati del velo e la rappresentazione della donna
orientale.
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