giovedì 1 maggio 2014

veli d'occidente


Rosella Prezzo, Veli d’Occidente. Temi, metafore, simboli, Milano, Bruno Mondadori, 2008.

In questo breve studio densissimo di riflessioni, analisi e spunti, Rosella Prezzo mostra la complessità che si cela dietro questo oggetto/tessuto-non-tessuto che è anche tema ricorrente nella cultura occidentale, metafora importante in ambito filosofico e non solo e simbolo potente dell’Alterità.

In principio era il velo, ci dice Prezzo, poiché è presente in tutte e tre le maggiori religioni monoteistiche, l’ebraica, la cristiana e l’islamica. Lo stesso termine ‘rivelazione’ ci parla dell’ambiguità e forza significante del velo, “al verbo rivelare diamo in genere il significato di “rimuovere dal velo”, scoprendo qualcosa che era nascosto e può così venire alla luce”. Se nella religione ebraica il velo è simbolo dell’inaccessibilità di Dio, nella religione cristiana il velo viene lacerato da Dio che si fa corpo in Cristo. Nella religione islamica è il velo di Khadija, moglie di Maometto a svelare la presenza divina.

Il velo appartiene all’origine, ma il velo ritorna anche in ambito filosofico con le disquisizioni di Sartre, Rousseau, Kant, Kierkegaard, Nietzsche, Freud e Lacan, laddove il velo viene in più di un’occasione legato al femminile, che vede nel culto di Iside, la dea velata, un’incarnazione importante, “la verità si rivela allora la ‘verità’ dei filosofi, verità sospesa tra virgolette, lievitata sull’illusione, l’incanto, il sogno, la volontà di dominio e il risentimento”.
E il velo che portano le donne? È questa la parte più affascinante del testo, poiché questo è il velo più conosciuto e oggetto di controversie, soprattutto per quanto concerne l’Oriente, o meglio la visione che l’Occidente ne ha fatto. Ma anche in questo caso, il velo è radicato nelle tradizioni di vari paesi del mondo e in Occidente lo ritroviamo sul capo della sposa, come su quello della donna in lutto e sulle suore, spose di Dio. Il velo, in questi casi, segna un limite e un confine, un cambiamento di stato, “il rito del velamento/svelamento nuziale rimanda anche all’origine della filosofia greca, laddove essa s’intreccia strettamente con le culture orientali, in particolare mesopotamica ed egizia”.

Nel Cristianesimo il velo esemplifica la gerarchia tra uomini e donne ed è l’apostolo Paolo di Tarso che nella Prima lettera ai Corinzi, scrive che l’uomo può avvicinarsi a Dio a capo scoperto, mentre la donna deve farlo a capo coperto, se non vuole recare offesa al suo “capo”, il velo è quindi segno della dipendenza della donna dall’uomo, suo intermediario per arrivare a Dio. Il velo è anche “luogo della mente”, dove “si è da lungo fissata l’immagine proiettiva dell’Occidente sull’Oriente islamico”. Il velo diviene centro di scontri e simbolo politico dell’identità islamica. Ma cosa dicono le donne del mondo arabo a tal proposito? Prezzo sceglie quindi di terminare il testo con una bellissima carrellata di voci di tre intellettuali femminili, la marocchina Fatima Merinissi, l’algerina Assia Djebar e la francese algerina Leïla Sebbar, ognuna delle quali decostruisce in modo esemplare i significati del velo e la rappresentazione della donna orientale.  

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