In inglese il termine ‘lurk’
significa ‘appostarsi, nascondersi’ e, per quanto concerne internet, viene usato
con l’accezione di ‘leggere senza postare’. In una società votata all’esibizionismo
continuo, ai selfie e al dire sempre e comunque la propria, praticare il ‘lurking’ è un atto quasi clamoroso e incomprensibile. Eppure farlo può
significare staccare per un po’ dal mondo o decidere di semplicemente guardare cosa fanno gli altri
senza intervenire o anche mettere in discussione un modus
vivendi che a volte non ci appartiene. Jess Zimmerman,
giornalista del Guardian, sottolinea come si dovrebbe praticare il lurking ogni
tanto, anche solo per vedere cosa tratta magari il gruppo al quale ci siamo
uniti o per riflettere (“i social incoraggiano a comunicare e interagire, non
ad osservare e riflettere”), perché la vita online spesso è troppo frenetica e ancorata al presente o anche perché
non sempre si hanno cose rilevanti da dire. Molte persone per esempio hanno lasciato
facebook, molte altre ci si muovono discretamente e altre ancora semplicemente
stanno a guardare.
L’estate scorsa per
diversi mesi ho praticato il ‘lurking’ soprattutto su facebook per ragioni
personali e per staccare la spina dal ciclone social. Molti dei miei contatti non se ne sono accorti, qualcuno si è preoccupato,
come se non pubblicare post online equivalesse a non essere, e altri
semplicemente hanno continuato a trattarmi come prima. Staccare però può
essere salutare, magari si ha bisogno di tempo per sé per fare altro o si sente la necessità di cambiare aria. Certo
ci sono anche le volte in cui la rete ci sta stretta e non si vedono
alternative. Basta poco per dar vita, in modo inconsapevole o meno, a
malintesi, diatribe che poi online sono complicate da risolvere. Spesso si
viaggia fra allusioni e di rado ci si confronta veramente.
E allora staccare fa
vedere le questioni sotto una diversa prospettiva e proporzione. Il web è comunque
un grande strumento di lavoro, conoscenza e fucina di rapporti
anche preziosissimi, ma occorre continuare a guardare fuori dalla finestra,
fare una passeggiata, leggere un libro, chiacchierare con un amico e così via. E
bilanciare le due cose non è sempre semplice. Stare continuamente sotto i
riflettori può divenire stressante soprattutto se la vita offline ci mette
davanti a ostacoli difficili da superare. E sparire da internet non significa
sparire tout court. La vita offline ha ancora una sua valenza e limitarsi (o
aprirsi) solo ad essa per un lasso di tempo può contribuire a rigenerarci. Potrebbe/dovrebbe
costituire un esercizio da fare periodicamente.
Scomparire allora diviene
un modo per reagire praticando la misura e la discrezione, come sottolinea
Pierre Zaoui nel suo agile e a suo modo provocatorio testo. Scomparire diviene
una “questione di resistenza a un nuovo ordine stabilito: quello che pretende
di identificare l’essere con l’apparire e il valore con la visibilità”. Tentare
di uscire dal circo della visibilità e dell’apparire si pone dunque come una
“forma di resistenza” che nell’assenza propone un rapporto diverso con lo stare al mondo. E Zaoui cita Kafka nel suo motto di “secondare
il mondo”.
Dietro questo gesto si
celano vari elementi come quello del narcisismo e della pulsione di morte di
nietzschiana memoria. Ma non è il percorso che ovviamente Zaoui consiglia. Egli
fa tre precisazioni: la prima riguarda un excursus storico dell’esperienza
della discrezione, storicizzare e contestualizzare questo concetto è
importante; la seconda si concentra sul fatto che questa scelta non deve essere intesa come
un tratto del carattere, ossia non siamo qui a parlare di questioni
psicologiche; e la terza ha a che fare con le caratteristiche di questa
esperienza che vanno esplorate e indagate.
Zaoui propone quindi un
viaggio storico che dalla Grecia antica porta fino ai giorni nostri per mostrare
come la discrezione e, con essa, lo scomparire, siano pratiche da non
sottovalutare, “la discrezione è al lavoro per frammentare, disgregare, scavare
dei buchi e delle tane, per ridare un po’ d’aria e permettere la libera
circolazione di ruoli, forme e destini”. Accanto alla discretio romana (separazione e isolamento) vi era l’aidos greca (pudore e vergogna) l’anava ebraica (modestia o umiltà) e l’harim mussulmana (luogo segreto e
intimo). La discrezione implica creare una distanza e dar vita ad un distacco
che ne fonda la morale. Tuttavia, Zaoui nota come questa pratica goda della
ciclicità e alternanza, poiché è bene metterla in atto per un periodo di tempo
soltanto, “la discrezione rende felici soltanto in modo ciclico, come
sospensione, battuta di arresto e di rilancio, vuoto fecondo”.
E dato che chi pratica il
lurking sembra sia la maggioranza di coloro che vivono online, possiamo
concludere, concordi con l’autore, che “il giorno in cui ci saranno soltanto
luce e casse di risonanza, e non occhi in disparte e orecchie impersonali all’ascolto,
possiamo scommettere che non ci sarà più nessuno, e nemmeno nessun mondo”.
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