venerdì 30 luglio 2010

perchè il bambino cuoce nella polenta (recensione)


Aglaja Veteranyi, Perché il bambino cuoce nella polenta, traduzione e postfazione di Emanuela Cavallaro, Ferrara, Tufani, 2005, pp. 188, € 12.

Quello che colpisce subito di Aglaja Veteranyi è il linguaggio essenziale e asciutto e, al tempo stesso, surreale e poetico. Come sottolinea Emanuela Cavallaro che ha curato sia la traduzione che la postfazione sottolinea Veteranyi è romena ma scrive il libro in tedesco: “si sente la fatica, nelle frasi di Aglaja Veteranyi. Ma la fatica in senso positivo, la fatica dell’artista che lima e modella la lingua fino a trarne fuori il nucleo significante. Un nucleo puro, senza orpelli di sorta”.
Il libro, diviso in quattro parti, racconta le vicissitudini di una famiglia di artisti circensi fra nomadismo e povertà. Il tutto filtrato attraverso lo sguardo di una bambina, che a fatica diviene adolescente. Ella assorbe e rielabora tutto in maniera ironica e a volte sorprendente, a cominciare dal lay-out di sterneriana memoria e dall’uso di maiuscole per intere frasi, quasi a far risuonare visivamente le parole sulla pagina. “L’ESTERO NON CI CAMBIA. IN TUTTI I PAESI MANGIAMO CON LA BOCCA”. L’estero è tutto il mondo che non è la Romania, il paese da cui la sua famiglia è fuggita, il paese che rappresenta la miseria ma anche una idea di casa. La rottura con le proprie radici comporta un trauma che la costringe a reinventarsi un senso di casa: “NON POSSIAMO AFFEZIONARCI A NIENTE. / Io sono abituata a sistemarmi ovunque in modo da trovarmi bene. / Devo solo stendere su una sedia il mio fazzoletto blu. / Quello è il mare. / Accanto al letto ho sempre il mare. / Devo solo scendere dal letto, e già posso nuotare.”
Poi c’è la famiglia che non attenua il trauma, ma semmai lo rafforza. Sua madre esegue un numero stando appesa ai suoi capelli e la piccola narratrice vive nella paura che ella cada. Suo padre gira filmini amatoriali e stupra regolarmente la sorella più grande. Sua sorella le racconta la favola del bambino che cuoce nella polenta per distrarla dalla paura di perdere la madre, “se mi immagino il bambino che cuoce nella polenta e il male che gli fa, non penso più a mia madre che potrebbe cadere dall’alto, dice mia sorella”. Questa favola horror, che dà anche il titolo al libro, viene ripresa più volte ed è una sorta di metafora della storia della protagonista.
Le quattro parti raccontano di diverse fasi della sua vita. La prima è dedicata alla famiglia e al circo, la seconda alla permanenza sua e della sorella in un collegio svizzero, la terza al debutto come artista bambina in un night e la quarta alla sua vita dalla zia e, se vogliamo, alla morte dei suoi sogni. Esse non seguono però un filo narrativo preciso, ma rappresentano piuttosto una serie di istantanee e di impressioni spesso geniali. Nel collegio svizzero, dopo aver salutato la madre, la narratrice elabora la separazione a modo suo: “mia madre deve morire subito, pensai io, così la seppelliamo nel giardino sotto la nostra finestra. In estate le fragole avranno il sapore di mia madre” o anche “i nostri genitori non vengono. / Sono all’estero, dice la signora Hitz. / Ma anche qui siamo all’estero, diciamo noi. / QUANTI ESTERI CI SONO?”. Veteranyi ci regala una storia incredibile, bellissima e dolorosissima, una storia in cui c’è molto della sua vita, una storia di migrazione, esclusioni, traumi e sogni. Veteranyi è morta suicida nel 2002.

appello Leggere Donna

6 commenti:

Milo ha detto...

Ciao Roz,

questa storia drammatica e toccante diventa tragedia nel suo epilogo, dopo il libro.
Quante vite distrutte durante l'infanzia!
Aglaja ha mangiato i semi della sua morte da bambina. Come in un'altra favola horror parallela, semi velenosi. Lei che era troppo sensibile per poterne uscire viva.

Grazie della recensione.
Un saluto!

Anonimo ha detto...
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roz ha detto...

Grazie Milo, si, è una storia molto drammatica che mi ha colpito nel profondo. Non conosco quest'altra favola di cui dici, ma mi sembra che sia azzeccatissima. Un abbraccio!

Milo ha detto...

Hai ragione! Infatti mi ero spiegato male... La favola dei semi velenosi non esiste, me l'ero immaginata io pensando ad Aglaja... e credo le sia andata proprio così!

Un abbraccio!

roz ha detto...

Bella idea Milo, perché non ci costruisci una storia, sei così bravo!

家唐銘 ha detto...
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