mercoledì 4 dicembre 2013
la vita erotica dei superuomini
Marco Mancassola, La vita erotica dei superuomini (Milano: Rizzoli, 2008).
Il senso e la ricchezza di questo romanzo sono già contenuti nel titolo che fornisce dei dettagli fondamentali (del resto è quello che un titolo dovrebbe fare): il termine ‘vita’ che rimanda ad una dimensione personale di contro ad ‘avventura’ che accanto alla parola ‘superuomini’ sarebbe sembrato più in linea con i protagonisti del libro, Mr Fantastic, Batman, Mystique e Superman; l’aggettivo ‘erotica’ che innesca il senso di spaesamento nel lettore/lettrice, cosa ci sarà mai da sapere sulle abitudini sessuali dei supereroi? Che cosa ci vuol dire l’autore con questa scelta terminologica? E poi il sostantivo ‘superuomini’ che di nuovo aggiunge un ulteriore senso di spaesamento. Perché superuomini e non supereroi?
La risposta a questi interrogativi è ovviamente soggettiva e si scopre solo lasciandosi avvolgere dall’ottima prosa di Mancassola che ricrea un mondo che molti di noi conoscono dall’adolescenza ma che egli rende vivo e intenso con scelte narrative non ortodosse. E per l’appunto è immaginandosi la vita erotica di questi personaggi che l’autore mostra il loro lato ‘umano’. Un lato segreto e nascosto che però ci dice moltissimo sulla cultura che li ha creati, la cultura statunitense e la città per eccellenza che li ha resi celebri, New York, la protagonista silente del libro.
Il romanzo apre proprio con una poetica immagine della città e di quello che significava per Reed Richards, alias Mr Fantastic: “Un tempo quello era il centro del mondo, un mazzo di steli di cemento conficcati nel granito, un reticolo di strade dai cui tombini usciva, costante, il vapore del sogno. Un tempo quella era la sua città, il luogo dove lui compiva grandi imprese, dove progettava meraviglie, dove sua moglie lo amava senza condizioni e dove ogni parola pronunciata, anche la più casuale, aveva il suono di una battuta perfetta.”
L’utilizzo dell’imperfetto ci dice che ora non è più così, ora Mr Fantastic è un uomo invecchiato, ricco e solo, la cui vita si svolge fuori dai riflettori in una dimensione distaccata e controllata che viene però incrinata dalla presenza di una giovane donna ambiziosa, che gli fa perdere la testa.
Batman invece viene ritratto magistralmente come un super-ricco le cui manie per le ragazzine hanno rimpiazzato il suo interesse per Robin col quale aveva avuto una relazione. Robin, che è stato brutalmente ucciso da un killer misterioso. L'apertura del capitolo a lui dedicato è eloquente: "Era nel bagno con addosso solo un paio di boxer da duecento dollari. La sua pelle era abbronzata e gli addominali tesi. Bruce Wayne si guardò allo specchio, sorrise a se stesso e iniziò a ballare."
Mystique è l’unica donna del gruppo ed è colei che forse si è davvero reinventata come conduttrice di un programma comico televisivo all’interno del quale si tramuta in diversi personaggi famosi come Madonna o Putin.
E Superman è il grande vecchio, la leggenda vivente che "si appoggiava a un bastone di legno e appariva scosso da un vago, ininterrotto tremito". La sua fama non è stata deturpata dal declino "di progressiva disfatta che aveva sommerso (...) la scena dei supereroi" e forse anche per questo ha aperto una scuola per aspiranti supereroi, un po' come Professor X di X-Men.
E poi ci soni i fratelli Bruce e Dennis De Villa, due italiani trapiantati negli States, la cui madre nasconde un mistero importante per comprendere i risvolti narrativi del romanzo, risvolti che ruotano attorno alla drammatica e scabrosa morte dei supereroi. Bruce è giornalista e Dennis è detective, due ruoli chiave e se vogliamo anche tipici, quando non stereotipati, dei telefilm made in USA oltre che di molte storie dei supereroi. Clark Kent fa il giornalista quando non svolazza in giro a salvare vite.
L’aspetto che trovo straordinario del libro è la riflessione che Mancassola conduce su queste figure, dando loro spessore e credibilità, a partire dai loro rispettivi poteri e/o status. Mr Fantastic, l’uomo di gomma, si ritrova a fare i conti con un corpo invecchiato dove comunque il suo pene resta l’unica parte del corpo che non è in grado di controllare, “che tende a modificarsi al di fuori della [sua] volontà, seguendo inconsciamente quelli che sembrano, di volta in volta, i desideri della [sua] partner”. Batman è invece morbosamente attento al suo corpo e alla sua fisicità e mostra con orgoglio alla giovane escort di turno il suo mitico costume. Mystique ha bisogno di una certa concentrazione per tramutarsi in un’altra persona e quando si invaghisce di uno dei protagonisti del romanzo, si ritrova addirittura a trasformarsi in lui, “il suo corpo mutevole. Il suo corpo solitario, orgoglioso, il corpo che non accettava di mischiarsi agli altri corpi, preferendo di trasformarsi in essi, conoscerli senza toccarli”.
Concentrarsi sulla presunta vita erotica di questi personaggi mostra la loro vulnerabilità e, più in generale, come lo stesso Mancassola ha sottolineato, la vulnerabilità di un paese come gli Stati Uniti che non incarna più quell’orizzonte di possibilità, speranze e potere che rappresentava in passato.
Un libro davvero bello e consigliatissimo che è stato già tradotto in francese e, di recente, anche in inglese.
lunedì 5 agosto 2013
lo schermo del potere
Alessandra Gribaldo, Giovanna Zapperi, Lo schermo del potere (Verona: ombrecorte, 2012).
Nel 2009 il web è stato investito da un dibattito
corposo e controverso sull’immagine della donna nella televisione italiana. A
dare un’eco fondamentale a questo dibattito è stato il documentario realizzato
da Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi e Cesare Cantù, Il corpo delle donne,
che mostra, attraverso un montaggio ragionato, quanto il corpo femminile sia
stato reificato all’interno dei programmi dedicati all’intrattenimento, come
Buona Domenica, in onda su Canale 5.
Lo schermo del potere di Alessandra Gribaldo e
Giovanna Zapperi getta una luce articolata su quel dibattito
contestualizzandolo e ampliandone i contenuti secondo le teorie femministe e
visuali. La prima constatazione che emerge è la disparità fra la
rappresentazione della donna sul piccolo schermo e la realtà delle donne che
vivono al di fuori dello schermo stesso. Disparità che non deve però
trasformarsi in dicotomia, come sembra mostrare il sopramenzionato
documentario, dove forse, notano le autrici, vi è un esagerato accanimento nei
confronti delle donne rifatte in tv contro le donne non rifatte nella realtà.
Come se le prime non fossero donne reali e le seconde lo fossero anche troppo,
“la sottolineatura costante del ritorno all’autenticità del femminile,
all’esigenza di sincerità si adagia sulla convinzione che esista qualcosa come la donna…”. Il rischio quindi è quello di
essenzializzare la donna, di ridurla ad una definizione prestabilita. Criticare
aspramente la tipologia di donna veicolata dalla tv non è la strada giusta da
percorrere. La questione, secondo le autrici, è ben più complessa.
Ed è per questo che occorre aprire la riflessione
sulla “costruzione visiva dell’alterità” al rapporto fra sessismo, razzismo e
omofobia che non sono separabili fra loro. In questo senso, la figura della
donna migrante emerge come paradigmatica nel fornire un immaginario ancora una
volta intriso di stereotipi, in quanto “particolarmente esposta al doppio registro
che oppone minaccia e degrado da una parte, autenticità, cura, materno oblativo
dall’altra”. La donna migrante non la ritroviamo solamente sovraesposta in
televisione come ‘madre natura’ in programmi come Ciao Darwin, ma anche al
centro delle cronache rosa e giudiziarie che ruotano attorno a Silvio
Berlusconi. Il suo ‘bunga bunga’ veicola una sintesi grottesca di orientalismo
e razzismo volto ad autolegittimarsi secondo un atteggiamento di presunzione
“in cui il capo di stato è sempre identificato con colui che penetra”.
Le autrici proseguono con riflessioni sulla
precarietà e su come essa in qualche modo vanifichi il significato del termine
‘normalità’. Ma è sulla normalità, o meglio sullo sguardo normalizzante che
bisogna soffermarsi, in quanto se da un lato lo sguardo è un sito di potere,
dall’altro esso può diventare un sito di resistenza, per cui è importante
contrastare “l’impero della normalità” che vuole le donne come soggetti unitari
e ‘autentici’, altro termine questo che va decostruito per lasciare spazio al
concetto di ibrido, creolo e meticciato. Lo sguardo va quindi riconfigurato e
gli stereotipi messi in discussione, per un continuo, vitale e conflittuale
rapporto con il visuale.
giovedì 14 febbraio 2013
one billion rising e il mio fastidioso prurito [ITA]
One Billion Rising (un miliardo di persone che si alzano) è
un evento globale organizzato e promosso da V-Day, un’organizzazione no-profit
nata dal monologo teatrale e libro di Eve Ensler, I monologhi della vagina
(1996), organizzazione che si dedica a creare eventi per combattere la violenza
contro le donne. Il 14 febbraio 2013 V-Day compirà quindici anni e One Billion
Rising è stato organizzato per celebrare questo risultato. Donne (e in teoria
uomini) in tutto il mondo sono invitati ad alzarsi e danzare per protestare
contro la violenza sessuale nel giorno in cui un ideale romantico e
stereotipato di amore viene celebrato. San Valentino deve essere abbastanza
arrabbiato di questo e neanche l’incredibile giro di denaro che lo circonda
farà i salti di gioia! Ma che bella idea, mi sono detta. Ecco perché mi sono
unita al gruppo di donne che organizza l’evento nella mia città. Tuttavia, poco
dopo un sotterraneo fastidioso prurito ha iniziato a svilupparsi dentro di me. Danzare?
Che tipo di danza? E come sarà messa
in scena?
Secondo un rapporto della UN Women del 2003, una donna su
tre nel mondo è stata stuprata o picchiata durante la sua vita, a detta del sito
di One Billion Rising. Questo equivale ad un miliardo di donne, “un miliardo di
donne violate è un’atrocità. Un miliardo di donne che danzano è una
rivoluzione”. Eve Ensler sottolinea che
La danza è
pericolosa, gioiosa, sensuale, sacra, di disturbo, contagiosa, infrange le
regole. Può avvenire ovunque, in qualsiasi momento, con chiunque ed è libera.
Il danzare insiste sul fatto che noi prendiamo spazio e stiamo insieme. La
danza ci unisce e ci spinge ad andare oltre ed è per questo che è al centro di
ONE BILLION RISING.
In questa affermazione non vi è nessun riferimento specifico
a nessun tipo di danza e l’idea che la pervade è che la danza sia la cura di
ogni malattia, il che non è vero. La coreografia creata dalla star televisiva
della serie TV Saranno Famosi, Debbie Allen, consiste in piccoli passi fatti
sul posto, in avanti, ai lati e indietro. È abbastanza semplice e di grande
effetto quando danzata da un gruppo. Non rappresenta la violenza, non ha pathos,
è piuttosto una danza di gioia. Forse un altro tipo di approccio al movimento
sarebbe stato più potente. Come Maria Chiara, una mia amica ha suggerito,
potremmo distenderci per terra in silenzio o forse potremmo restare fermi in
una posa particolare per un minuto (danzare è anche restare fermi). Questo è un
punto importante in quanto la danza può essere una buona idea per un progetto
come questo, ma penso che dovrebbe essere più intrinsecamente collegata alla
questione, dovrebbe far riflettere le persone sulla violenza contro le donne,
non divertirsi nella speranza di combatterla. Il fastidioso prurito torna a seccarmi.
Penso all’Italia e a quanto scoraggiante sia il modo in cui
la danza è percepita. Negli ultimi venti anni circa, l’Italia è stata infestata
da quello che comunemente viene conosciuto come ‘velinismo’, ossia degli atti
di non particolare significato interpretati da show-girls inesperte, atte anche
a danzare numeri malamente. Questo trend è nato alla metà degli anni Novanta
con lo show televisivo Striscia la notizia di Antonio Ricci trasmesso su Canale
5, una delle reti di Silvio Berlusconi e si è diffuso nella televisione
italiana con il risultato di denigrare le donne in generale e le danzatrici in
particolare. Questo nonostante vi siano numerose compagnie di danza, molti
gruppi di persone che davvero studiano seriamente la danza e producono lavori
interessanti. Ecco perché promuovere un evento con donne che si alzano e
danzano mi suona strano. E gli altri paesi che hanno aderito alla campagna? In
altre parole, il danzare ha molte implicazioni e significati in differenti
paesi, il team di One Billion Rising ha pensato a questo aspetto?
E poi rifletto sulla portata di questa campagna che è globale. È
una chiamata gobale ad agire. Il sito è organizzato benissimo con un elenco di
più di sessanta lingue (tradotte con il traduttore google però), una serie di
strumenti e consigli per coloro che vogliono aderire, un blog, una sezione con
le novità, molto materiale video, diverse affermazioni e una sezione dove si
può condividere il piano del progetto della propria città. Se non fosse per la
sua nobile causa, sembrerebbe una gigante campagna di marketing per omologare
e, come ha sottolineato un’altra mia amica, spettacolarizzare la violenza
contro le donne. È vero, chi aderisce è abbastanza libero di decidere che
musica mettere, che tipo di danza fare e così via. Eppure sembra un evento di
marca. Per fare un esempio, l’ingegnoso logo rosso, la stilizzazione di una
donna con i fianchi ampi (ricorda le piccole statue delle dee madri
preistoriche) con una V bianca stampata sulla vagina (naturalmente!), apparirà
ovunque e ridurrà le differenze fra i paesi che partecipano. Ensler, in un recente
video girato a Londra, sottolinea il fatto che la violenza contro le donne è un
problema “globale, patriarcale, epidemico”, ma è positivo affrontarlo in questo
modo? Penso sia una questione
controversa insita nel progetto.
Come lo è il sottostante femminismo essenzialista promosso
da Ensler, il cui tono troppo politically correct e idealistico pervade tutta
la questione. Il testo dell’inno della campagna “Break the Chain” (spezza la
catena) di Tina Clark è esemplare: “Questo è il mio corpo, il mio corpo è sacro
/ niente più scuse, niente più abusi / siamo madri, siamo insegnanti /siamo
splendide, splendide creature”. Definire le donne come madri e insegnanti ripristina
quello che le femministe e molte altre donne e uomini hanno tentato di
decostruire durante gli ultimi quaranta anni, ossia l’associazione
essenzialista tra donne, riproduzione e la cura, una cosa alquanto deprimente.
Anche leggendo La preghiera di un uomo di Ensler (una buona idea a modo suo) ci
si confronta con l’illusione che tutto andrà bene (la preghiera termina di
nuovo con un riferimento alla maternità!), che la violenza contro le donne sta
per finire. Questo tono è stato probabilmente usato per mettere d’accordo più
persone possibili. Il che va pure bene, come ho già detto, prenderò parte
all’evento, ma il mio fastidioso prurito resta, in quanto, nel profondo, sento
che eventi come questo, un gigantesco evento di un giorno che è così eccitante
e che include così tante persone, non cambierà veramente le cose. Dopo aver
danzato insieme, quante donne torneranno a casa e decideranno di ribellarsi se
il loro marito le picchia? E quanti mariti violenti rifletteranno sul loro
desiderio di picchiare le loro mogli?
Secondo la giornalista del Guardian, Vanessa Thorpe, Ensler
ha fatto un paragone interessante fra la sua campagna e “l’attivismo nel mondo
arabo”, ma ci sono differenze sostanziali. La campagna di One Billion Rising è
stata organizzata dal V-Day che è una ben radicata istituzione no-profit
statunitense, mentre la primavera araba è stata un sollevarsi della gente
comune contro un sistema che la governava. La prima tiene una prospettiva
verticale, dura per alcune ore e probabilmente disturberà più che altro
il giorno di San Valentino, la seconda si è mossa orizzontalmente, è
durata giorni, settimane, mesi (in Siria stanno ancora morendo!) e ha tentato e
in parte è riuscita a sovvertire il sistema che governava queste persone.
In qualche modo questa campagna è un altro esempio
meraviglioso della nostra società schizofrenica dove il significato delle cose
è stato sostituito dal suo corrispondente nel mercato, che ahimé è vuoto…la
violenza contro le donne è un problema complesso intrinsecamente collegato alla
cultura, l’economia, la scienza e la tecnologia. Dovremmo guardarlo da un punto
di vista più ampio e affrontare queste sfere. Come sono rappresentate le donne
nei media e nella cultura in generale? Come si collega questo elemento al
senso di possesso che gli uomini di solito sviluppano nei loro confronti? Le
donne dovrebbero essere economicamente indipendenti dagli uomini, ma l’economia
odierna, almeno in Italia, non è a misura di donna per nulla. Le donne, poi,
sono le vittime del controllo biopolitico sofisticato sui loro corpi (per
citare Michel Foucault e Rosi Braidotti) come accade per lo stupro come arma di
guerra.
Oggi mi unirò alla causa di Ensler (assieme al mio sempre
presente fastidioso prurito comunque) e prenderò parte all’evento nella mia
città. Ensler stessa ha affermato che questo è l’inizio di un cambiamento reale
e che per tutto l’anno dovremmo pensare a cosa possiamo fare per combattere la
violenza contro le donne. Forse potremmo iniziare danzando in modo differente,
portando un po’ di pathos in passi che possano esprimere la complessità della
questione e non dovremmo farlo ovunque, ma in posti specifici di potere che
contribuiscono a perpetrate questa dolorosa atrocità, come le banche o le sedi
dei quotidiani. Infine non dovremmo farlo solo per un giorno, ma ogni giorno
come è accaduto per le proteste nel mondo arabo o, in ogni caso, regolarmente,
tipo ogni settimana come è accaduto con la protesta veramente rivoluzionaria
delle Madri di Piazza di Maggo in Argentina che hanno trasformato la maternità
in un appello sociale per la giustizia. Ecco, il mio fastidioso prurito si sta
calmando ed ora sono pronta per danzare!
one billion rising and my itchy feeling [ENG]
According to a 2003 UN
Women report, one out of three women in the world have been raped or beaten in
their lifetime, the One Billion Rising site says. That is about one billion
women, “one billion women violated is an atrocity. One billion women dancing is
a revolution”.
Eve Ensler affirms that
Dance is dangerous, joyous,
sexual, holy, disruptive, contagious, it breaks the rules. It can happen
anywhere, anytime, with anyone and everyone, and it's free. Dancing insists we take up space, we go there together in community.
Dance joins us and pushes us to go further and that is why it's at the centre
of ONE BILLION RISING.
In this assertion there
is no specific reference to any kind of dance and the idea pervading it seems
to be that dance is the cure for every disease, which is not. The choreography
created by TV series Fame star Debbie Allen consists of small steps on place,
to the front, to the side and backwards. It is quite simple and of great effect
when performed by a group. It does not represent violence, it does not have any
particular pathos, it is rather a dance of joy. Would not another type of
movement approach have been more powerful? As Maria Chiara, a friend of mine
has suggested, we could all lay down in silence or maybe we could stand still
for a minute in a particular pose (dancing is also being still). That is an
important point, because dance may be a good idea for a project like this, but
I think it should be more intrinsically related to the question, it should make
people stop and think about violence against women, not enjoy themselves in the
hope of fighting it. The itchy feeling returns to bother me.
I think about Italy and how discouraging
is the way dance is being perceived. In the past twenty years or so, Italy, has been
infested by what is commonly known as ‘velinismo’, that is acts of no
particular significance performed by untrained show-girls, including a poorly
acted dancing. This trend was born in the mid-1990s with the TV show, Strisciala notizia (the news that crawls) by Antonio Ricci on Channel 5, one of Silvio
Berlusconi’s TV channels and has widespread on Italian television with the
result of denigrating women in general and dancing women in particular. This
happens in spite of the fact that there are many dance companies, many groups
of people really studying dancing seriously and producing interesting works. That
is why promoting an event with women standing up and dancing sounds weird to
me. And I ask myself, what about the other countries that have adhered to the
campaign? How is this dancing event going to be perceived? In other words, dancing has many implications and
meanings in different countries, has the One Billion Rising team thought about
that?
And then I think about
the scale of this campaign which is global. This is a global call for action.
The website is very well organized with a list of more than sixty language
selection option (google translator, though), a toolkit for those who want to
join in, a blog, a news section, a lot of multimedia material, like videos and
statements, and a section where you can share your plan of the event in your
town. If it were not for its noble cause, it would look as a giant marketing
campaign to standardize and, as another friend of mine has said, turn it into a
giant show. It is true, those who join are quite free to decide what music they
can choose, what kind of dancing are they going to perform and so on. Still, it
looks like a branded event. To name one thing, its clever red logo, the
stylization of a woman with pronounced hips (it recalls the mother goddesses’ prehistoric
small statues) with a printed white V on her vagina (of course!), will appear
everywhere and reduce differences among those countries who take part to the
campaign. Ensler, in a recent video shot in London, highlights the fact that violence
against women is a “global, patriarchal, epidemic” problem, but should it be
addressed in this manner? I think this is a controversial issue embedded in the
project.
As is the underlying
essentialist feminism promoted by Ensler, whose too politically correct and too
idealistic tone pervades the whole thing. Tina Clark’s lyrics of the campaign
anthem “Break the Chain” are exemplary: “This is my body, my body’s holy / No
more excuses, no more abuses / We are mothers, we are teachers, / We are
beautiful, beautiful creatures”. Defining women as mothers and teachers only
reinstates what feminists and many other women and men have been trying to
deconstruct during the past forty years, that is the essentialist association
between women, reproduction and cure, something which is quite depressing. Even
reading Ensler’s Male Prayer (a good idea, in a way) one is confronted with the
illusion that everything is going to be fine (the prayer ends again with a
reference to motherhood!), that violence against women is about to end. This
tone has probably been used to get as many people as possible to agree with
this campaign. Which is fine, as I said, I am going to be part of the event
itself, but still the itchy feeling remains because deep down I sense that
events like this one, a huge one-day event that is so exciting and that it includes
so many people is not really going to change things. After having danced
together, how many women will go back to their home and decide to rebel if
their husband start beating them? And how many violent husbands will reflect on
their urge to beat their wives?
According to the
Guardian journalist, Vanessa Thorpe, Ensler has made an interesting comparison
between her One Billion Rising campaign and “the activism in the Arab world”,
but there are substantial differences. The One Billion Rising campaign has been
organised by the V-Day which is a well established nonprofit institution in the
United States,
while the Arab spring was an uprising of the people against the system that
governed them. The former took a vertical approach, lasts for maybe a few hours
and is probably mainly going to disrupt Saint Valentine’s day, the latter took
a horizontal one, lasted days, weeks, months (in Syria they are still dying
every day!) and attempted and in part managed to disrupt the political system
that governed these people.
In a way, this campaign
is another marvellous example of our schizophrenic society where meaning has been
replaced by its marketable correspondent, which is, alas, empty…violence
against women is a very complex problem that is intrinsically connected with
culture, economics, science, technology. We should look at it from a wider
point of view and tackle these spheres. How are women represented in the media
and in culture in general? How is this element connected with the sense of
possession men usually develop over them? Women should be economically
independent from men, but today’s economy, at least in Italy, is not
women friendly at all. Women, then, are the victim of a sophisticated
biopolitical control over their bodies (to quote Michel Foucault and Rosi
Braidotti) as it happens with rape as a war weapon.
Today I will join
Ensler’s cause (with my ever-present critical itchy feeling though) and take
part to the event in my town. Ensler herself has affirmed that this is the
beginning of a real change and that throughout the year we should be thinking
about what we can do to fight violence against women. Maybe we could start by
dancing in a different manner, bringing pathos in steps that could express the
complexity of the issue, and we should not be doing it anywhere, but in
specific places of power that contribute to perpetrate this painful atrocity,
like banks or newspaper buildings. Last but not least, we should not be doing
it just for one day, but every day as it happened with the protesters in the
Arab world or, anyway, on a regular basis, like every week, as for example
occurred with the truly revolutionary protest of the Madres de Plaza de Mayo in
Argentina who turned motherhood into a social appeal for justice. Right, my itchy
feeling is calming down and now I am ready to dance!
lunedì 11 febbraio 2013
one of those days...
One of those days ...[ENGLISH]
Today is one of those days when you feel absolutely depressed and wish to cut yourself from the world. Precarity keeps eating your life up like a giant monster, and maybe as a consequence of that, your relationship with food is really messy, you work your ass off to continue working on your projects, even though you are doing most of them for free, your research has been in stand-by for way too long, the guy you like refuses to clarify things with you, your family problems are always there with the risk of becoming worse and worse in a minute, and you feel tired, incredibly tired.
You say to yourself, send them all to hell and take a break. Cancel all the commitments you have taken, erase problems from your life, run to a desert island and rest in peace (dangerous affirmation, isn't it?). Then a friend of yours send you via email an article on local politics, you read it and realise once again that the world is shit. The institutions that represent you are mainly made of incompetent people and if you remove yourself from the world, even for a week or two (I would really love to do so right now), you may not find a world when you come back.
So what is there to be done? How can I recharge my batteries? I do not know, I do not have a plan, I now my energies are limited and that I need to take one step at a time. But I know that I feel good when I write, I feel myself when I jot things down on a page. So I could do many things to feel better, but they probably would not work. I will write instead!
Uno di quei giorni...[ITALIANO]
Oggi è uno di quei giorni in cui ti senti assolutamente depressa e desideri tagliarti fuori dal mondo. La precarietà continua a mangiarti la vita come se fosse un mostro gigante e forse, a causa di questo, la tua relazione col cibo è incasinata, ti fai il culo per continuare a lavorare ai tuoi progetti anche se la maggior parte li fai gratuitamente, la tua ricerca è ferma da davvero troppo tempo, il ragazzo che ti piace si rifiuta di chiarire le cose con te, i tuoi problemi familiari sono sempre là con il rischio di peggiorare in un minuto e tu ti senti stanca, incredibilmente stanca.
Ti dici, mandali tutti al diavolo. Cancella tutti gli impegni che hai preso, cancella i problemi dalla tua vita, corri in un'isola deserta e riposa in pace (affermazione pericolosa, vero?). Poi un'amica ti manda un articolo sulla politica locale via email, lo leggi e realizzi ancora una volta che il mondo è una merda. Le istituzioni che ti rappresentano sono fatte soprattutto di incompetenti e se tu te ne vai dal mondo anche solo per una o due settimane (ne avrei davvero bisogno ora), potresti non trovarlo il mondo quando torni.
E allora che si può fare? Come posso ricaricare le batterie? Non lo so, non ho un piano, so che le mie energie sono limitate e che ho bisogno di fare un passo per volta. Però so che mi sento bene quando scrivo, mi sento me stessa quando butto giù delle cose su di una pagina. Quindi potrei fare molte cose per sentirmi meglio, ma probabilmnete non funzionerebbero. Scriverò invece!
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