Pensare la New Italian Epic in relazione ad altre arti pone delle questioni strutturali, in quanto il memorandum di Wu Ming 1 si sviluppa, come già accennato, a partire dalla letteratura. E’ però uno studio le cui caratteristiche si ritrovano, in qualche modo, anche in altre arti e sarebbe interessante analizzare il senso dell’epico in uno spettacolo di danza o in un fumetto, come anche ragionare sull’allegoritmo per quanto concerne la gestualità. Sarebbe anche opportuno indagare il rapporto fra queste arti che sono in costante interdipendenza fra loro, per cui può essere che il “sentimiento nuevo” (Wu Ming 1, 2009: 63) non sia partito esclusivamente dalla letteratura, ma in congiunzione con altre arti. La mia è solo una apertura iniziale, spero possa essere un punto di inizio per ulteriori riflessioni.
La danza, in particolare, è un’arte quasi invisibile in Italia. Questa potrebbe sembrare un’affermazione paradossale visto che al cinema, in tv e nella pubblicità, la danza è sempre di più un riferimento visivo e cinetico. Il problema sta in che tipo di danza viene costantemente presentata e in relazione a cosa. Per esempio il boom di talent show come Amici e Italian Academy 2 (e di Vuoi ballare con me? Su skyuno) mostra come sia in crescita l’interesse verso quest’arte e come (anche se in forte ritardo) i media si siano accorti di questa potenziale fetta di mercato alla quale rivolgersi. In effetti la danza mostrata è di qualità molto maggiore rispetto alle mossette delle veline. Però questa danza resta ancorata all’intrattenimento e il meccanismo del reality tende a deformarne e stravolgerne certi aspetti. Quindi passa per verità assoluta che chi non ha basi di danza classica si può scordare di diventare un danzatore professionista o chi ha il collo del piede non giusto non potrà mai entrare a far parte di una compagnia. Il discorso è lungo e complesso, qui vorrei solo sottolineare che il mondo della danza è molto più ricco di quello che appare nei media. In questo senso, diversi lavori di compagnie italiane mostrano come la danza in Italia possa avere un senso differente, possa essere occasione per riflettere, per ricercare e percepire la realtà alla deriva nella quale viviamo. Alcuni dei loro lavori sono riconducibili alla nebulosa di cui parla Wu Ming 1 e potrebbero far parte della scia della New Italian Epic. Fra questi vi sono coreografie come Otto (2002-2003) di Kincaleri, La forma delle cose (2002) di Roberto Castello e Alessandra Moretti per la compagnia Aldes, Polis (2005) della Compagnia Abbondanza-Bertoni, le Ceneri di Gramsci (2007) di Virgilio Sieni e Sandro Lombardi e I topi (2004) di Balletto Civile. Dato che è un’arte incarnata e transitoria è più difficilmente analizzabile rispetto ad altre arti, non è possibile comprare il libro del testo o il dvd dello spettacolo, quindi per avere un panorama abbastanza aggiornato occorrerebbe seguire gli spettacoli stessi, cosa abbastanza complicata. Io stessa non sono riuscita a vedere tutte le coreografie sopramenzionate e in particolare mi soffermerò sulla prima.
L’immagine che forse resta maggiormente impressa dopo aver guardato la performance di Kincaleri, (2002-2003), è la caduta reiterata di uno dei performer, caduta che appunto si ripete di continuo destando l’ilarità ma anche l’ansia degli spettatori. Egli entra e cade dopo aver fatto due passi. Entra con un bicchiere d’acqua in mano e cade, entra con due palloni rossi e cade, entra con una torta di fragole e cade. Come ha sottolineato Massimo Marino, Otto “è una danza sul vuoto in forma di caduta” (Marino, 2002) e la caduta rappresenta, in qualche modo, l’allegoritmo coreutico dello spettacolo, ossia il gesto che ci dice che “qualunque ‘ritorno all’ordine’ è illusorio” (Wu Ming 1, 2009: 55). Come ho già detto altrove, “sembra che ci sia poca danza in questo spettacolo, ma la ripetizione della caduta crea una sorta di dinamica ipnotica che mette in discussione il modo in cui ci muoviamo” (Simonari, 2004). Gli altri due personaggi della performance sono altrettanto emblematici, una ragazza sul proscenio mostra la schiena al pubblico e ascolta musica commerciale (che rappresenta anche lo sfondo musicale dello spettacolo) con le cuffie e un altro ragazzo entra con una tenda già montata, ci va dentro e ne esce fuori con un grosso pesce per farsi fotografare. In questa opera, se “si ride questo avviene nel dramma di riconoscere in quei segmenti di azione che non riescono a compiersi una condizione di tutto il già visto della nostra civiltà. Il limite delle cose umane e del mondo” (Kincaleri, dossier Otto). Questa coreografia esprime, assieme alle altre, un “sentimento nuevo” che vive e si forma nello specifico di una realtà italiana, essi testimoniano di una fiducia nel gesto e nella sua potenzialità comunicativa, una fiducia nel pensare-in-movimento di labaniana memoria (Laban, 1999) e di conoscenza incarnata. Per quanto concerne il teatro, le opere narrative di Ascanio Celestini e Marco Paolini sono esempi da prendere in considerazione, ma anche opere radicali e innovative come mPalermu (2001) o Carnezzeria (2002) di Emma Dante. In particolare Dante indaga nel profondo la cultura siciliana e palermitana, svelandone nevrosi e crudeltà. Carnezzeria parla di violenza e di onore. La violenza sul corpo di una sorella che resta incinta dopo essere stata violentata dai tre fratelli. L’onore da salvare, un marito da farle sposare, un marito che non arriva mai. “Carnezzeria è la cerimonia messa in scena per assolvere una donna dal peccato: pulire la macchia; riparare il guasto; togliere il disonore al figlio bastardo” (Dante, Carnezzeria). La fisicità di questa opera e il dialetto palermitano creano un linguaggio denso, allegorico ed epico, che caratterizza anche molte altri lavori di Dante. In questo caso l’allegoritmo sta nel corpo stesso della donna, territorio di conflitti e di soprusi non solo in Sicilia ma in tutto il territorio nazionale. Per concludere, vorrei accennare qualcosa sui fumetti, mondo che offre lavori molto stimolanti. A cominciare da un capolavoro di Lorenzo Mattotti e Claudio Piersanti, Stigmate (1999), che tratta di un ubriacone con le stigmate e viene per questo emarginato dalla società. Il tratto graffiante di Mattotti e la scrittura di Piersanti compongono una storia che è quasi una quest dentro se stessi. In modo simile e diverso sono altre quest i viaggi di Pasticca (1998, 1999, 2003) e di George Henderson in Grenuord (2005 in inglese, 2007 in italiano), entrambi di Francesca Ghermandi, i cui personaggi sono delle figure antropomorfe che rappresentano uno “sguardo obliquo” (Wu Ming 1, 2009: 26-32) sul mondo in termini grafici oltre che narrativi. Pasticca è una bimbetta con la testa a forma di pasticca appunto che si perde e che fa incontri strani e grotteschi. In quest’opera lo sguardo obliquo sta anche nell’assenza di parole, è un racconto muto dove il segno della grafite dà corpo alla storia. Altri fumetti riprendono questa prospettiva come la serie Interiorae (2005, 2006, 2008) e l’opera Sotto le foglie (2004 in francese, 2008 in italiano) di Gabriella Giandelli. Il primo vede come sorta di filo narrativo un coniglio che si erge in posizione eretta, l’altro uno straniero, “l’unico capace di sentire la voce del bosco” che è “la metafora della vita interiore di ciascuno” (Giandelli, 2008, quarta di copertina). Un’altra opera uscita di recente e da analizzare alla luce di quanto detto è In Italia sono tutti maschi (2008) di Sara Colaone e Luca de Santis che ci riporta al periodo del fascismo e alla persecuzione degli omosessuali.
Nessun commento:
Posta un commento