domenica 10 maggio 2009

questa è la terra, non ancora il cielo (recensione)


Gabriella Imperatori, Gloria Spessotto, Questa è la terra, non ancora il cielo, Tufani, Ferrara, 1998, pagine 276, € 12,90.

Tutto inizia con una borsetta di perline, anzi due borsette di perline, quasi identiche, così simili da poter essere scambiate. E Ania e Marianita se le scambiano dando così il via a due storie parallele che si intrecciano, che si tuffano nel passato e danno il via ad altre storie che, a loro volta, si incontrano e/o confluiscono l’una nell’altra. Il libro è una saga famigliare che attraversa il secolo passato e tre continenti, Europa, Africa e America. Si divide in tre grandi blocchi i cui titoli evocano la struttura spiraleggiante dell’opera, “Il fulmine”, “Il caos”, “Il ritorno”. I titoli di ogni capitolo poi seguono spesso la logica del dettaglio senza fare riferimento all’argomento principale: “Di professione grossista di prosciutti”, “Non si inventa un Dio in laboratorio”, “L’isola dei matti”. Uno dei personaggi più interessanti è Giada Valle, capostipite della famiglia Ghiraldi-Rubini, la cui vita traccia e segna gli umori e le sofferenze di molti dei personaggi del libro. Sposa di Leonida, Leone Ghiraldi, una specie di eroe invincibile ai suoi occhi, Giada viene distrutta dalla sua scomparsa improvvisa, sposa Eugenio Rubini ma non smette mai di pensare e correre dietro al fantasma del primo marito, vivendo una vita a metà fino a lasciarsi andare al canto sepolcrale della pazzia. La morte di Leonida cambia anche il carattere di uno dei suoi figli, Armando, che diviene instabile e combinaguai, oltre che padre di vari bambini, tra i quali la sopramenzionata Marianita. Di altra stoffa è Anita, figlia di Giada ed Eugenio. Donna non bella come la madre o le sorelle Lisetta e Clara, Anita ama la musica ed è dotata di una “saggia dolcezza” che se da un lato la fa più fragile delle sorelle, dall’altro la aiuta ad affrontare i momenti più difficili della sua vita, come quando durante la seconda guerra mondiale attraversa mezzo paese per raggiungere la famiglia. Anita è anche in parte colei che racconta gli episodi della saga famigliare alla nipote Ania, figlia di Valentino, a sua volta figlio di Lisetta. Il suo nome vero è Anita proprio in onore della zia, ma suo padre (che è omosessuale) le dà questo “vezzeggiativo rosseggiante in ricordo di sua madre”, Masha, che era entrata e subito uscita dalla loro vita.
Il titolo del libro è ispirato ad un verso di Frost e, come ha sottolineato Giulio Galetto “allude a quel sentimento della vicenda umana nel quale convivono il bene e il male, la felicità e il dolore, l’appagamento e l’ansia”. Nel testo viene ripreso a proposito degli occhi di Anita “che rispecchiavano il mondo”. Secondo Pia Fontana “il gusto del raccontare si scioglie nel ritmo di una prosa che ha molto del musicale e ci riporta piacevolmente all’estro antico dei cantastorie spesso veri e propri cantori, e come nel racconto popolare mescola detti, scongiuri, proverbi, tutte le espressioni di una sapienza prossima a scomparire”. In questo senso questo libro è forse uno dei primi esempi di quello che Wu Ming 1 ha denominato New Italian Epic, ossia nuova narrativa epica italiana, con la vastità dello spettro narrativo, lo sguardo obliquo sulla Storia attraverso le vicissitudini soprattutto delle donne della famiglia Ghiraldi-Rubini e lo stile piacevole ma non scontato, fatto di molte voci che si sovrappongono e si compenetrano. L’allegoritmo in questo caso ha a che fare con la famiglia come specchio di una società in costante cambiamento, come crocevia di scontri e incontri.

appello Leggere Donna

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