CRACOVIA DANZA COURT BALLET
"LA FORTUNA – La dama con l’ermellino"
Pawel Winsczyk
Direttore Romana Agnel
Coreografia e regia Barbara Sparti
Ricostruzione coreografie quattrocentesche
41° Festival Internazionale ‘Urbino Musica Antica’ Urbino, 18 luglio 2009 – Teatro Raffaello Sanzio
Il 41° Festival Internazionale ‘Urbino Musica Antica’ (Urbino, 18-28 luglio 2009) è stato inaugurato presso il Teatro ‘Raffaello Sanzio’ dal Cracovia Danza Court Ballet con lo spettacolo “La Fortuna – La dama con l’ermellino”. Unica rappresentazione in Italia, lo spettacolo ha debuttato nel 2006 nell’ambito del VII “Cracovia Danza” Court Dance Festival ed è stato inserito nel 750° Anniversario della fondazione di Cracovia.
Ispirato al famoso ritratto di Leonardo da Vinci La dama con l’ermellino, conservato al Museo Czartoryski di Cracovia, esso si presenta come un ‘balletto-pantomima’ sul tema della Fortuna e si incentra sulla figura di Cecilia Gallerani – per l’appunto la dama ritratta da Leonardo - nobildonna amata da Lodovico Sforza, Duca di Milano dal 1494 al 1500 ( più noto come Lodovico il Moro). L’allestimento ha come punto di riferimento gli spettacoli di corte del Rinascimento italiano; per questo lavoro la regista e coreografa Romana Agnel ha utilizzato fonti storiche e coreografie originali - come quelle rappresentate nella Festa del Paradiso, della quale scene e costumi furono disegnati dallo stesso Leonardo - avvalendosi della consulenza e delle ricostruzioni di una delle massime esperte internazionali in materia, Barbara Sparti.
La struttura circolare dello spettacolo – che si apre nel prologo (balletto la Fortuna) con la preparazione del ritratto della Dama dell’ermellino e ce lo restituisce realizzato al termine del balletto (canzona Fortuna desperata) – si regge su un canovaccio articolato in quattro quadri, all’interno dei quali danze e balli del repertorio quattrocentesco evocano le alterne vicende delle donne amate da Lodovico.
Nel primo quadro, il prologo, Cecilia Gallerani si appresta ad essere ritratta da Leonardo; nel secondo quadro, che celebra l’amore tra Cecilia e Lodovico, il lieto soggiorno nella corte sforzesca viene evocato dai balli di Domenico da Piacenza, tra i quali spicca una gioiosa Tessara felicemente eseguita con fasci di fiori in luogo dei tradizionali ‘paniselli’ (ma al riguardo esiste una descrizione di danzatori "con cerchii cinti di fronde" ad una festa a Bologna del 1487, nonché un murale -"graffito"- attualmente al Museo di Prato). La Fortuna favorisce tuttavia la giovane Beatrice d’Este, figlia del Duca di Ferrara e sorella minore della più famosa Isabella d’Este (la donna alla quale, in realtà, Lodovico ambiva) : il terzo e il quarto quadro si disegnano così sul gioco alterno di amori e gelosie che vedono da una parte le nozze di Lodovico con la giovane Beatrice, pur sfortunata nel tentativo di conquistare l’amore del Duca (le note storiche ci ricordano, tra l’altro, che Beatrice muore a soli 22 anni di parto); dall’altra l’abbandono e l’allontanamento di Cecilia dalla corte milanese e la sua consegna definitiva alla storia attraverso il ritratto di Leonardo.
Il trono ducale, sul quale si avvicendano i protagonisti della storia, appare come metafora degli alterni casi della Fortuna. Ben delineati i personaggi: nobile e autorevole Lodovico, quasi altera Beatrice d’Este, delicata Cecilia Gallerani - che all’epoca del ritratto aveva tra i quindici e i diciassette anni, e alla quale vanno riferite, come lascia intendere lo stesso Leonardo, le virtù di equilibrio e pacatezza simboleggiate dall’ermellino.
Nel complesso, l’intera Compagnia ha affrontato con entusiasmo e professionalità un repertorio di danza raramente rappresentato. Le danzatrici hanno saputo ben tradurre quanto richiesto da Guglielmo Ebreo alla ‘giovane donna et virtuosa’: “il movimento suo corporeo vuole essere humile & mansueto con un portamento della sua persona degno et signorile, et legiera in sul pie’, et i suoi gesti ben formati”. Fresche e ricche di dinamica le pantomime, in particolare quella della Piva, nella quale due giovani danzatori “formosi, destri e legieri e di gratia ben dotati” (ancora Guglielmo Ebreo, ‘Capitolo di movimento corporeo’) con ‘sgambitti’ e ‘capriole’ fanno sfoggio di capacità acrobatiche – a ricordarci che i virtuosismi maschili, prima ancora che nella danza accademica, sono presenti già nella danza cortese del XV secolo. Giocano sull’ironia la moresca del Dragone e la singolare ‘scena delle cornici’, come la divertente pioggia di caramelle sul pubblico che preannuncia la festa, mentre un’ombra di malinconia pervade la conclusione dell’ultimo quadro: qui i passi del ballo Amoroso, eseguiti da tutta la Compagnia, accompagnano nell’ultima contesa amorosa l’uscita di scena di Cecilia – quasi una scena di teatro-danza pur nel pieno rispetto della coreografia originale.
Come nella traduzione di un testo poetico antico – dove il rigore filologico va unito alla capacità di individuare le specifiche soluzioni interpretative (inevitabilmente soggettive) con le quali il traduttore ‘consegna’ il testo al suo tempo, permettendo l’incontro col pubblico – così nella danza ‘antica’ la riproposta del repertorio in sede teatrale richiede competenze filologiche ma anche poetiche. Quando l’oggetto ‘consegnato’ è costituito da danze di corte del 1400 che rivivono su un palcoscenico moderno, la sua ‘traduzione’ attraverso i corpi di danzatori del XXI secolo (operazione che pone non poche questioni sul come affrontare la messa in scena di quella tecnica e quello stile, creati per interpreti e contesti assolutamente differenti) si presenta meno facile di quanto ci si potrebbe aspettare. Ed è stato proprio questa ‘traduzione’ da parte della Cracovia Danza Court Ballet l’aspetto più stimolante ed affascinante della serata.
I costumi, disegnati da Martine Pichot e Monika Polak-Luoecinska, sono ispirati all’iconografia dell’epoca e coniugano sapientemente disegno storico e peso teatrale. Bravi “Ars Cantus Early Music Ensemble”, che nel non facile lavoro di accompagnamento delle danze hanno saputo mantenere i ritmi dello spettacolo. Brava la giovane regista e coreografa Romana Agnel, fondatrice del Cracovia Danza Court Ballet, che partendo dal ritratto leonardesco ha creato una performance raffinata e scorrevole, ben equilibrata tra filologia ed invenzione drammaturgica, capace offrire al pubblico del Festival Internazionale di Urbino – patria ideale della danza antica nella figura di Guglielmo Ebreo, che qui operò presso la corte dei Montefeltro - interessanti spunti di riflessione sulla vitalità e le possibilità di ‘traduzione’ contemporanea della danza di corte del XV secolo.
Maria Cristina Esposito
Ispirato al famoso ritratto di Leonardo da Vinci La dama con l’ermellino, conservato al Museo Czartoryski di Cracovia, esso si presenta come un ‘balletto-pantomima’ sul tema della Fortuna e si incentra sulla figura di Cecilia Gallerani – per l’appunto la dama ritratta da Leonardo - nobildonna amata da Lodovico Sforza, Duca di Milano dal 1494 al 1500 ( più noto come Lodovico il Moro). L’allestimento ha come punto di riferimento gli spettacoli di corte del Rinascimento italiano; per questo lavoro la regista e coreografa Romana Agnel ha utilizzato fonti storiche e coreografie originali - come quelle rappresentate nella Festa del Paradiso, della quale scene e costumi furono disegnati dallo stesso Leonardo - avvalendosi della consulenza e delle ricostruzioni di una delle massime esperte internazionali in materia, Barbara Sparti.
La struttura circolare dello spettacolo – che si apre nel prologo (balletto la Fortuna) con la preparazione del ritratto della Dama dell’ermellino e ce lo restituisce realizzato al termine del balletto (canzona Fortuna desperata) – si regge su un canovaccio articolato in quattro quadri, all’interno dei quali danze e balli del repertorio quattrocentesco evocano le alterne vicende delle donne amate da Lodovico.
Nel primo quadro, il prologo, Cecilia Gallerani si appresta ad essere ritratta da Leonardo; nel secondo quadro, che celebra l’amore tra Cecilia e Lodovico, il lieto soggiorno nella corte sforzesca viene evocato dai balli di Domenico da Piacenza, tra i quali spicca una gioiosa Tessara felicemente eseguita con fasci di fiori in luogo dei tradizionali ‘paniselli’ (ma al riguardo esiste una descrizione di danzatori "con cerchii cinti di fronde" ad una festa a Bologna del 1487, nonché un murale -"graffito"- attualmente al Museo di Prato). La Fortuna favorisce tuttavia la giovane Beatrice d’Este, figlia del Duca di Ferrara e sorella minore della più famosa Isabella d’Este (la donna alla quale, in realtà, Lodovico ambiva) : il terzo e il quarto quadro si disegnano così sul gioco alterno di amori e gelosie che vedono da una parte le nozze di Lodovico con la giovane Beatrice, pur sfortunata nel tentativo di conquistare l’amore del Duca (le note storiche ci ricordano, tra l’altro, che Beatrice muore a soli 22 anni di parto); dall’altra l’abbandono e l’allontanamento di Cecilia dalla corte milanese e la sua consegna definitiva alla storia attraverso il ritratto di Leonardo.
Il trono ducale, sul quale si avvicendano i protagonisti della storia, appare come metafora degli alterni casi della Fortuna. Ben delineati i personaggi: nobile e autorevole Lodovico, quasi altera Beatrice d’Este, delicata Cecilia Gallerani - che all’epoca del ritratto aveva tra i quindici e i diciassette anni, e alla quale vanno riferite, come lascia intendere lo stesso Leonardo, le virtù di equilibrio e pacatezza simboleggiate dall’ermellino.
Nel complesso, l’intera Compagnia ha affrontato con entusiasmo e professionalità un repertorio di danza raramente rappresentato. Le danzatrici hanno saputo ben tradurre quanto richiesto da Guglielmo Ebreo alla ‘giovane donna et virtuosa’: “il movimento suo corporeo vuole essere humile & mansueto con un portamento della sua persona degno et signorile, et legiera in sul pie’, et i suoi gesti ben formati”. Fresche e ricche di dinamica le pantomime, in particolare quella della Piva, nella quale due giovani danzatori “formosi, destri e legieri e di gratia ben dotati” (ancora Guglielmo Ebreo, ‘Capitolo di movimento corporeo’) con ‘sgambitti’ e ‘capriole’ fanno sfoggio di capacità acrobatiche – a ricordarci che i virtuosismi maschili, prima ancora che nella danza accademica, sono presenti già nella danza cortese del XV secolo. Giocano sull’ironia la moresca del Dragone e la singolare ‘scena delle cornici’, come la divertente pioggia di caramelle sul pubblico che preannuncia la festa, mentre un’ombra di malinconia pervade la conclusione dell’ultimo quadro: qui i passi del ballo Amoroso, eseguiti da tutta la Compagnia, accompagnano nell’ultima contesa amorosa l’uscita di scena di Cecilia – quasi una scena di teatro-danza pur nel pieno rispetto della coreografia originale.
Come nella traduzione di un testo poetico antico – dove il rigore filologico va unito alla capacità di individuare le specifiche soluzioni interpretative (inevitabilmente soggettive) con le quali il traduttore ‘consegna’ il testo al suo tempo, permettendo l’incontro col pubblico – così nella danza ‘antica’ la riproposta del repertorio in sede teatrale richiede competenze filologiche ma anche poetiche. Quando l’oggetto ‘consegnato’ è costituito da danze di corte del 1400 che rivivono su un palcoscenico moderno, la sua ‘traduzione’ attraverso i corpi di danzatori del XXI secolo (operazione che pone non poche questioni sul come affrontare la messa in scena di quella tecnica e quello stile, creati per interpreti e contesti assolutamente differenti) si presenta meno facile di quanto ci si potrebbe aspettare. Ed è stato proprio questa ‘traduzione’ da parte della Cracovia Danza Court Ballet l’aspetto più stimolante ed affascinante della serata.
I costumi, disegnati da Martine Pichot e Monika Polak-Luoecinska, sono ispirati all’iconografia dell’epoca e coniugano sapientemente disegno storico e peso teatrale. Bravi “Ars Cantus Early Music Ensemble”, che nel non facile lavoro di accompagnamento delle danze hanno saputo mantenere i ritmi dello spettacolo. Brava la giovane regista e coreografa Romana Agnel, fondatrice del Cracovia Danza Court Ballet, che partendo dal ritratto leonardesco ha creato una performance raffinata e scorrevole, ben equilibrata tra filologia ed invenzione drammaturgica, capace offrire al pubblico del Festival Internazionale di Urbino – patria ideale della danza antica nella figura di Guglielmo Ebreo, che qui operò presso la corte dei Montefeltro - interessanti spunti di riflessione sulla vitalità e le possibilità di ‘traduzione’ contemporanea della danza di corte del XV secolo.
Maria Cristina Esposito
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