lunedì 5 dicembre 2011
indifferenza
è
acuto
e pungente
arriva sempre al momento meno opportuno
per mollarti un ceffone fatto di niente
e quel niente ti distrugge
poco per volta
fino a quando il cuore decide di farti un richiamo
scritto sul corpo
vivido
e
lucente
in modo che il messaggio
sia inequivocabile
seppur inascoltato
whale talking - new series (5)
hardly comes close to me
She is not avoiding me
she does not have the strength
to do that
she is too weak
I saw her the other day
wandering around
as if she did not have
any specific direction in mind
It is painful to see her in this state...
sabato 5 novembre 2011
l'arte del camminare
"Il camminare è un gesto rivoluzionario", secondo Luca Gianotti, autore de L'arte del camminare. "Il camminare si è evoluto in questi anni da attività sportiva e performante (arrivare sulla cima) ad attività di vagabondaggio, spirituale, di crescita interiore". Camminare quindi può anche essere terapeutico oltre che un modo differente per relazionarsi con se stessi. Viaggiare camminando spesso ci porta ad entrare nella dimensione della lentezza e della meditazione, "più riusciamo ad andare piano, più la meditazione è profonda". E' un libro pieno di consigli sul come attrezzarsi prima di andare a fare una lunga camminata (cosa mettere nello zaino, che tipo di scarpe indossare, che sacco a pelo acquistare), sul come predisporsi (fare una ricerca sul percorso da effettuare, se in gruppo e con una guida, essere aperti all'altro e alla natura) e sul come affrontare le difficoltà che si possono presentare (non affidarsi esclusivamente alla tecnologia per tirarsi fuori da una situazione complicata, ma fare affidamento su se stessi). E' un libro che porta a riflettere sulla nostra relazione con gli altri e con la natura, su quello che significa turismo responsabile e su che tipo di impatto abbiamo comunque sull'ambiente ogni volta che ci spostiamo. Un libro prezioso anche per chi, come me, cammina soprattutto in città.
giovedì 22 settembre 2011
whale talking - new series (4)
today
I have tried to get closer and closer to her soul
I have tried to listen to her pain
I have tried...
and I managed to lose myself in her depressive state
her weak condition
her slow wandering
her whiteness is still so remarkably luminous
and yet so opaque
I can sense a huge void coming from her alabaster skin
a white hole which can divour me in a split second
mercoledì 14 settembre 2011
terrazza letteraria
lezione spettacolo su Martha Graham
Martha Graham (1894-1991) è stata una delle figura più importanti del XX secolo, tanto da essere accostata a Picasso e Freud per la portata della sua rivoluzione nel campo della danza. La sua opera costituisce una tappa fondamentale nell’ambito della storia della danza contemporanea: come è stato più volte ribadito, tutti sono figli di Martha Graham, sia che ne abbiano proseguito il percorso creativo che ne abbiano rifiutato la visione coreografica, come è successo a Merce Cunnigham, che ha danzato nella sua compagnia per alcuni anni. Graham è stata una danzatrice straordinaria, una coreografa geniale e ha creato una tecnica di danza incentrata sul movimento del torso che ha scardinato la supremazia del balletto e l’idea che la danza potesse essere soprattutto intrattenimento. Se prima di lei Isadora Duncan e Ruth St. Denis avevano messo in discussione questi aspetti senza però proporre delle alternative durature e strutturalmente definite, Graham è riuscita a delineare un corpus creativo in grado di reggere il confronto con la ricca tradizione del balletto classico e con gli spettacoli di Broadway. Forse è per questo che nel 1959 George Balanchine, il celebre coreografo russo, padre del New York City Ballet, le chiese di collaborare con lui all’allestimento della coreografia Episodes. Molte personalità sono state sedotte dal carisma di Graham: Andy Warhol ha ricreato la sua immagine in celebri serigrafie, Rudolf Nureyev e Margot Fonteyn hanno danzato alcune sue opere, Liza Minnelli ha recitato in una delle sue coreografie, Woody Allen e Madonna hanno studiato presso la sua scuola.
La lezione spettacolo dedicata a Graham è strutturata secondo tre filoni: quello della parola gestita da me in qualità di storica della danza, del movimento interpretato dalla danzatrice e coreografa Simona Ficosecco (Luna Dance Center) e del suono, miscelato da dj Nooz. Graham creò sempre delle splendide sinergie con i suoi collaboratori, sia che fossero compositori che scenografi o costumisti. L’idea è quella di creare un'inedita sinergia fra tre linguaggi differenti che di solito non sono accomunati fra loro per rendere omaggio al lavoro di Graham e per svelarne anche qualche neo.
[l'immagine riprende un mio schizzo ispirato a Lamentation di Graham, la grafica della cartolina è di Nooz.]
martedì 30 agosto 2011
whale talking - new series (3)
I think she wants me to go with her
I think she wants me to be with her
in her final moments before passing away
I am scared and exhausted
her dying energy has become
like a huge cocoon
capable of consuming
all my creative oxygen
could it be that she wants me to die with her?
could it be that we need each other so much?
sabato 27 agosto 2011
whale talking - new series (2)
is it possible to surf the waves of indifference?
the whale is quite feeble today
she has hardly eaten anything
and the way she moves has considerably
changed
she looks tired
and torn
troubled
and tangled
in a spiral of nothingness
domenica 21 agosto 2011
whale talking - new series (1)
I thought my task was finished
but
I was wrong
the whale has come back
it felt strange to see her again
floating around me
now I know why she is back
the whale is dying
and wants me to nurse her
and be with her in the final stage
of her life
domenica 3 luglio 2011
albero, ecologia dell'anima (intervista)
Jesi, Palazzo dei Convegni, 31 maggio 2011
Elisa Latini è una giovane artista marchigiana che da più di due anni lavora ad un progetto sull’albero, pianta ricchissima di simboli. Dal 27 maggio al 4 giugno si è tenuta a Jesi (Ancona), presso il palazzo dei Convegni, la mostra di pittura, Albero, ecologia dell’anima, che presenta i primi risultati di questa ricerca. Ho incontrato Latini all’interno dello spazio espositivo della mostra, la ringrazio per la disponibilità e cortesia.
Come è nata l’idea per questa mostra?
Innanzi tutto l’albero è per me una fonte di ispirazione forte e poi di recente mi sono capitate diverse commissioni sull’albero. Sin dai tempi dell’Accademia lavoro sull’albero ed ho quindi letto queste coincidenze come segni importanti per portare avanti il mio progetto. Ai tempi dell'Accademia lavoravo sulle cortecce per creare una scultura. Ho fatto decorazione pittorica alle superiori e scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma. Quando sono tornata a Jesi, mi sono dovuta adattare alle esigenze di spazio dello studio del mio compagno che è pittore. Uno studio di pittura non è compatibile con uno studio di scultura, per cui ho cercato di coniugare il progetto scultoreo con il colore. Da questa esigenza è nato il chiaroscuro dell’albero in bianco e nero, le prospettive, le inquadrature, i giochi di luce ed ombra, il discorso di profondità e in qualche modo il bisogno di ricreare la tridimensionalità.
Qual è il tuo rapporto con gli alberi e con la natura?
È un rapporto stretto che mi porto dietro sin da quando ero piccola. L’arte mi ha ravvicinato a qualcosa che sentivo profondamente vicino a me e dal quale mi ero allontanata. Quando ero bambina mi madre mi disse, “farai agraria o l’istituto d’arte”. Ed io ho scelto la seconda possibilità, ossia il mezzo espressivo che mi ha permesso di acquisire gli strumenti che mi potessero riavvicinare alla natura, agli animali…credo che l’essere umano sia sradicato dalla natura. Molto probabilmente da piccola mi sono sentita sradicata e il percorso artistico mi ha aiutato a ritrovare quella sensibilità che avevo perduto. Adesso coltivo piante, allevo criceti, ho un pesce…
I dipinti hanno un segno impressionistico molto particolare. Mi puoi dire come sei arrivata a questo risultato, allo stesso tempo raffinato e di forte impatto visivo?
Lavoro molto sui simboli. Tutto quello che ci circonda ha una valenza fortissima per la psiche. In qualità di oggetto, in qualità di albero, in qualità di materia, ogni cosa è viva e anzi la vita dell’oggetto è quella che gli imprimiamo noi con la quotidianità, con il valore che gli diamo. In questo senso mi sento molto vicina al percorso dei surrealisti così come l’entrare dentro la materia dei nabis.
È la ricerca sugli alberi che ha portato a questo segno o è il tuo segno che ha trasfigurato l’immagine dell’albero? Ossia che rapporto sussiste fra il contenuto e la forma?
Tecnicamente lavoro con la stampa in trielina dalle superiori, poi la trielina è stata tolta dal mercato e ho dovuto cercare il componente chimico che permettesse all’inchiostro di sciogliersi e di imprimersi sulla carta. Allora stampavo tutto su carta perché i progetti scultorei che facevo, li facevo su carta. La prima difficoltà è stata trovare il componente chimico che mi sciogliesse l’inchiostro, la seconda è stata trovare il supporto da applicare alla tela che mi permettesse di prendere l’inchiostro senza fare troppi danni, senza sciogliersi…cioè deve essere una superficie liscia, perché se è ruvida rimane la texture. Adesso ho imparato ad utilizzare questa cosa della texture e su certe tele si vedono le pennellate del fondo, in quanto ho giocato con questo aspetto. Si addiceva particolarmente al discorso sulle cortecce degli alberi e sulla loro materia. In più mi piaceva lavorare con la suggestione. Tant’è che da qui nasce tutta una serie di lavori che ancora sono su carta e che si intitola “Suggestioni”.
La mostra presenta un’istallazione al centro dello spazio espositivo, fatta di strutture in legno che sorreggono i quadri e da un cerchio disegnato da alcune piantine. Qual è il significato di questa scelta?
Originariamente non volevo mettere nessuna tela alle pareti. Poi per questioni di spazio ho deciso di farlo. Comunque è un’istallazione e come tale va creata su misura per lo spazio in cui vai ad esporre. L’impianto originale prevedeva una struttura centrale circolare e aperta che abbracciasse e creasse qualcosa di accogliente, anche esagonale, ottagonale. Se io avessi a disposizione uno spazio grande che consentisse di ospitare otto strutture lignee, io creerei un labirinto circolare con una stanza circolare, simile a quella di Cnosso, per capirci, e questo perché c’è un discorso di sacralità dell’individuo che ritrova se stesso all’interno, al centro dell’albero, e quindi ecco le piantine vive che sono di querce e lecci di Porta Valle [zona di Jesi, n.d.r.]. Quindi è un impianto che dall’urbano torna alla natura. Originariamente avrei voluto che ogni persona che acquistava un quadro, si assumesse la responsabilità di una quercia. Quindi l’idea dell’argilla cruda che contiene ogni piantina. L’ho fatto per non far soffrire la pianta, perché se il compratore non si prende la responsabilità della pianta io me la tengo. Questo vuol dire che la devo spostare di vaso in vaso e l’argilla non va più bene. L’argilla va bene se ho un compratore perché metto la terra e la quercia dentro l’argilla così che basterà insediare a terra l’argilla cruda che man mano si decompone, per cui la terra ritorna alla terra e libera le radici. L’albero è l’anima dell’essere umano, la natura ciclica continua e l’essere umano deve imparare ad essere ciclico. Sono anni e anni che l’arte proclama la ciclicità, la continuità, la fluidità, il divenire…
La mostra è itinerante, Jesi è la prima tappa. Quali sono gli altri luoghi designati? C’è una ragione particolare, secondo te, per mostrare i tuoi dipinti in questi luoghi?
Tutto è stato studiato, le tappe della mostra così come gli sponsor [collaborazione: Parco Gola della Rossa, sponsor: Habitat – Verdeambiente, Azienda Agricola Tonti Giorgio, Leonardo Edilizia & Costruzioni, n.d.r.]. Io colloco l’albero dove l’albero è accettato altrimenti me lo tengo. Semino dove c’è sensibilità per stimolare. Punto sul fatto che anche chi non è vicino a certi argomenti possa interessarsi al mio progetto grazie ad un discorso di professionalità. Il mio lavoro è volto anche a nutrire la professionalità di coloro che collaborano con me. Io ho bisogno di un agronomo come Frontini [Habitat – Verdeambiente, n.d.r.] o di un direttore come Scotti [Parco Gola della Rossa, n.d.r.], perché sono loro che veicolano il mio progetto. È la collaborazione fra individui, è la ‘foresta’ di individui che crea il sottobosco per far crescere le querce. La quercia è forte ma non è un albero primario, ossia se hai una terra arida non ci puoi mettere le querce, perché hanno bisogno dell’ombra. Tornando ai luoghi, uno sarà il Parco Gola della Rossa e un altro la Spring Color di Castelfidardo, che è un’azienda di colori per l’edilizia tutti fatti a carattere naturale. Prendono i pigmenti ricavati dai vegetali e li trattano con il latte, gli oli essenziali. Hanno creato tutta una linea per l’arte che io e il mio compagno Andrea [Silicati, n.d.r.] usiamo.
In più di un quadro la prospettiva è dal basso verso l’alto, è una scelta oculata, ha un suo significato? A me sembra che rappresenti un profondo rispetto e quasi venerazione per queste creature millenarie.
Siamo piccoli rispetto a quello che è l’albero e soprattutto abbiamo bisogno di lui, l’albero ci avvicina al sole al cielo, alla parte alta…ci protegge. Questo aspetto mi è venuto in mente quando un signore che è venuto alla mostra, guardando il quadro dedicato al cedro del Libano, mi ha detto, “questo quadro mi ricorda di quando ero bambino e stavo sotto i cedri del Libano”. Io gli ho detto che quel quadro rappresentava esattamente un cedro del Libano. La caratteristica di questo albero è che i suoi rami si sviluppano verso il basso e quindi danno la sensazione di proteggerti.
Ogni quadro è collegato ad un albero diverso o sono raffigurazioni degli stessi alberi. E l’albero dipinto ha per te un’importanza particolare?
Sono pressoché tutti alberi diversi. Se lavoro su di uno stesso albero per più di un quadro è perché studio un particolare oppure un’altra angolazione. Il cedro del Libano è rappresentato in due tele, una è caratterizzata dalla prospettiva dal basso verso l’alto, l’altra da una prospettiva frontale per evidenziare la caratteristica dei rami che vanno verso il basso. Quando c’è un albero che mi dice qualcosa in più gli dedico più di una tela.
Hai dato un titolo ad ogni quadro?
Il titolo riprende la tipologia dell’albero e il luogo. Non ho scritto accanto al quadro il titolo per scelta stilistica. I pannelli lignei mostrano anche il retro della tela, in quanto anch’esso deve essere protagonista. Quando Burri ha rotto la tela ha permesso di andare dietro la tela stessa. È come parlare della corteccia e del suo interno. Il retro della tela doveva recare i titoli e i pannelli lignei sono stati progettati a seconda del quadro che dovevano ospitare.
Come è nato il titolo della mostra, Albero, ecologia dell’anima, è molto evocativo…
L’albero è l’alter ego dell’essere umano e da questo punto di vista il termine ‘ecologia’ fa riferimento al visitare, al vivere intimamente l’esperienza arborea che ti porta al confronto con te stesso. Chi entra vive l’esperienza intima di se stesso che si immagina nella natura…purtroppo non c’è più un rapporto vivo con la natura…io quindi ti lascio un seme per recuperare questo rapporto.
l'universo...della danza
INTRODUZIONE
La danza è un’arte incarnata e transitoria. Secondo la danzatrice e coreografa Martha Graham, “il corpo è un indumento sacro” e la danza è “un atto di affermazione” che lo utilizza in modo significativo. L’arte coreutica può essere declinata come espressione di un’emozione attraverso il movimento, come rito propiziatorio, o anche come movimento in sé, senza alcun sottotesto narrativo. Molte sono le categorie di analisi della danza: in primo luogo la storia che ricompone la sua evoluzione attraverso documenti e testimonianze; in secondo luogo l’antropologia che indaga il significato di una danza all’interno di una cultura o di un gruppo di persone; in terzo luogo l’estetica che analizza le caratteristiche specifiche di un tipo di danza, e così via. In questo libretto si è pensato di ripercorrere alcuni dei tratti salienti della storia della danza teatrale occidentale, per poi proporre una sintesi degli stili presenti in gara, quali il tango, la pizzica e il flamenco. Il titolo del progetto, “L’universo della danza” è ambizioso e volutamente inclusivo di ogni espressione di questa arte. Il presente libretto vuole costituire un assaggio di quello che questo medesimo universo rappresenta.
venerdì 24 giugno 2011
il linguaggio della danza (scuola di danza cinzia scuppa)
IL LINGUAGGIO DELLA DANZA
Teatro Pergolesi, Jesi (Ancona), 10 giugno 2011
La danza è un linguaggio corporeo che accompagna la storia e cultura dei popoli. Sia che si tratti di saltarello marchigiano che di tango rioplatense, la danza ha la funzione di rafforzare e, a volte, stabilire relazioni sociali. Da quando la danza è entrata nei teatri ha conservato questo aspetto comunicativo e l’ha arricchito di nuove valenze, come il virtuosismo e l’uso di un filo narrativo: gli stili si sono moltiplicati e la danza è divenuta un’arte complessa e raffinata. La danza classica ci propone armonia e grazia, la danza moderna energia e determinazione, l’hip-hop fluidità e impetuosità. In tutti questi casi chi danza comunica attraverso il proprio corpo e afferma se stesso attraverso il proprio corpo, stabilendo un dialogo con lo spettatore, che, da parte sua, è chiamato a partecipare all’evento con la sua attenzione e con il suo grado di apprezzamento.
Conoscere i linguaggi e la storia della danza costituisce un arricchimento importante per il danzatore che sceglie di praticare quest’arte, in quanto lo porta ad apprezzare gli stili ricchi di tradizione come la danza classica e quelli radicati nella contemporaneità come l’hip hop senza limitazioni e pregiudizi.
Da settembre, presso la Scuola di Danza di Cinzia Scuppa, partiranno degli incontri mensili nei quali si affronteranno i diversi linguaggi della danza e la loro storia con particolare attenzione ai capolavori dell’Ottocento e Novecento.
martedì 7 giugno 2011
sabato 4 giugno 2011
ecstasy and the demon (manning)
Manning’s book is not just a groundbreaking analysis on Mary Wigman (1886-1973), but it also represents a fundamental shift in perspective in the field of dance studies. Manning does not take a mere biographical approach, but investigates the social and political events that shaped Wigman’s career as dancer, choreographer and teacher. Thanks to her research, we find out about Wigman’s influence on Rudolf Laban and his considerable influence on her, her work as choreographer of solo as well as group pieces, her controversial relationship with the Nazi Regime and her neglected reception in the United States.
Wigman emerges as a prominent figure in German modern dance (the so called Ausdruckstanz, 'expressionist dance'), a figure who often had to struggle for the survival of her art. The initial phase of her career was very much influenced by the sense of community and freedom experienced at Monte Verità, “an artists’ colony in the Swiss Alps where Wigman spent the years of the First World War in voluntary exile with Rudolf Laban and his circle of dancers”. There she experimented her movement approach and managed to canalise her energy into a “working method”. The solo pieces resulting from this practice were quite radical and innovative. An example is Ecstatic Dances (1917), where Wigman presented the transformations of a character into, among other things, a nun, a dervish and a temple dancer. Through these transformations, she blurred the line between what was perceived as masculine and feminine, thus posing the question of gender construction.
“The twenties were the great decade of Wigman’s career”: she opened a school in Dresden and successfully moved “from solo dancing to group choreography”. In this period her group was formed by women only (men began to be included in 1928). There she developed an approach to dance based on improvisation, Laban’s movement scales, spinning and circles. Group pieces from this period comprise The Seven Dances of Life (1921) and Scenes from a Dance Drama (1924), where the traditional narrative structure was eliminated in favour of a ritual-like vision, where she analysed the notion of (female) community. One of her most renowned solo piece from this period is her reconstruction of her 1914 Witch Dance (1926), where she wears a mask and a loose dress, seating on the stage floor. “Wearing a mask, the female dancer objectifies herself rather than allowing herself to be objectified by the (male) spectator”.
1930 was a critical year as Wigman passed “from a modernist to a fascist aesthetic”. This crisis reflects the larger crisis the Ausdruckstanz (expressionist dance) movement was undergoing. At stake was the survival of the movement, the preservation of its origin in physical culture and its relationship with “the discipline and theatricality of ballet”. In addition to this, economic problems were beginning to become a major issue and, when the Regime came to power, both the movement and Wigman had to face the difficult choice of either accommodating to its aesthetic or succumbing. With regards to this, Wigman’s proto-fascist work, Totenmal (1930), represented perhaps the first step towards what would always be her ambiguous relationship with National Socialism. Conceived as “a multimedia spectacle memorializing soldiers killed in the First World War”, it was done in collaboration with Albert Talhoff.
The change in the political climate in the 1930s and beginning of the 1940s, led Wigman to shift her vision and turn it towards a more Duncanesque imagery, in that she staged a more traditionally seen feminine persona: “woman as wife and mother, woman as mourner fro the war dead, woman as heroic martyr”. Significantly, among these were the series of dances named Women’s Dances. As Manning herself states, “did her choreographic ambivalence serve as a limited resistance to fascist aesthetics or as a means of coming to terms with her accommodation?”. This remains an open and crucial question.
The last part of Wigman’s career was characterised by a decrescendo, with her retirement from the scene in 1942 and the closing of her school in 1967. In 1957, however, she was given an important commission by the Berlin Minicipal Opera, to choreograph her version of the Rite of Spring, a landmark piece in dance history, first choreographed by Vaslav Nijinsky in 1913 with the music by Igor Stravinsky. Wigman inserted a female figure to replace the old sage. She called it a Mother Figure and surrounded her with two other female ‘mothers’, thus giving a unique taste to the piece. Manning highlights how this work embodied Wigman’s “self-mythologisation as the survivor, the victim of fate”.
Wigman died in 1973, but her legacy survived in the rise of another movement approach to dance, that is Tanztheater, with figures such as Pina Bausch and Susanne Linke. The final chapter of this book explores the reception of Wigman in the United States, a reception filled with neglect and distortions caused by the North American strife to create a national dance idiom.
lunedì 30 maggio 2011
bodas de sangre (primi appunti)
Il seguente mini saggio è una versione rielaborata dell'introduzione che ho fatto ad inizio maggio a Macerata, in occasione della proiezione dal vivo dello spettacolo Bodas de sangre della Compañía Antonio Gades. Rappresenta il primo passo verso uno studio più approfondito sulla coreografia e sul suo rapporto con l'opera letteraria a cui si ispira.
BODAS DE SANGRE
Compañía Antonio Gades
Cinema Teatro Italia, live dal Teatro Real de Madrid, 9 maggio 2011
Il flamenco: danza di tipo moderno
Quando si pensa al flamenco, spesso ci si immagina una donna suadente che arriccia le mani e batte le scarpe col tacco per terra, agitando un’ampia gonna, possibilmente rossa. Questa immagine corrisponde solo in parte alle caratteristiche e storia di un tipo di danza molto diverso dal balletto, che è forse uno degli stili maggiormente conosciuti. Il balletto affonda le sue origini nelle corti italiane del Quattrocento e Cinquecento e nell’aristocrazia francese del Seicento e Settecento. In particolare esso è caratterizzato dall’armonia delle figure che il corpo è tenuto a rappresentare, a cominciare dalle cinque posizioni di base dei piedi. In questo senso, si può definire come una danza di tipo visivo, come ha ben notato Helen Thomas: “il ballerino deve rispettare le richieste rigorose del sistema di controllo e forma del corpo della sua immagine ideale” (Thomas 2003, 97). È un tipo di danza caratterizzato da misura e precisione, grazia ed eleganza. Di contro, il flamenco ha un’origine più moderna, seppur molto più controversa rispetto a quella del balletto. Inoltre è forse inappropriato definirlo esclusivamente come danza, in quanto esso esiste come una confluenza di canto, musica e danza. È più corretto quindi parlarne come di un “complesso fenomeno culturale” (Mandelli, 2004, 17), anche se in questa sede farò riferimento soprattutto al baile.
Secondo la leggenda il flamenco è invariabilmente associato ai gitani, che, a seguito del loro peregrinare, si stanziarono in Andalusia sin dal Quattrocento. L’Andalusia era già da allora un crogiolo di culture, fra cui spiccava quella araba ed ebraica, ma, come sottolinea Ermanna Carmen Mandelli, “sono occorsi oltre tre secoli di convivenza (…) perché prendesse forma qualcosa che nella seconda metà dell’Ottocento sarebbe stato chiamato (…) flamenco” (Mandelli 2004, 18). Secondo un altro eminente studioso, Gerhard Steingress, il flamenco è il risultato di un ‘agitanamiento’, ossia della creazione di un genere alla moda gitana (Steingress 1991, 378), per cui “si prefigura come manifestazione artistica moderna e di avanguardia, non tanto ermetica e primitiva come la leggenda vuole” (Simonari 2009, 226). Venendo allo stile, esso si caratterizza per una carica di energia esplosiva, un ritmo spesso incalzante e un rapporto profondo con la forza di gravità. Proprio per l’imprescindibile relazione che lo lega alla musica, al canto e all'elemento percussivo prodotto dal corpo stesso (tramite le scarpe insonorizzate con i chiodi, le nacchere, las palmas e altri suoni prodotti dal corpo in movimento), lo si può definire come una danza di tipo sonoro, come ho già sottolineato altrove (Simonari 2008, 197). È una danza individuale o anche di gruppo, non necessariamente di coppia e si è sviluppata a seguito di una mutazione che ha portato il flamenco prima nei celebri caffè cantanti, poi nei teatri con figure eccezionali come La Argentina, Carmen Amaya e Vicente Escudero. Questo cambiamento ha prodotto la professionalizzazione dei danzatori e una codificazione dello stile secondo dettami coreografici moderni. Purtroppo il flamenco è stata ed è tuttora vittima di una mercificazione avvenuta soprattutto durante e dopo il periodo della dittatura franchista in Spagna. Antonio Gades, per venire a noi, mette in discussione questa mercificazione attraverso il suo stile.
Il flamenco di Gades
In più di una occasione Gades ha affermato di essere arrivato al flamenco per fame, ossia per sfuggire alla sua condizione di povertà (Gades in Lartigue 1984, 52). Questa è un’affermazione molto interessante e ci dice già molto su di lui, in quanto ci distoglie dallo stereotipo secondo cui chi danza ha ricevuto una specie di chiamata, stereotipo che rimanda ad un approccio quasi mistico alla danza, volto a creare un’aurea di sacralità che spesso è infondata. Il flamenco di Gades è un flamenco stilizzato, caratterizzato da linee essenziali e pulite, senza elementi di ornamento o virtuosismo eccessivo. Egli stesso affermava “perché effettuare quattro piroette se con una, eseguita alla perfezione, tutto viene detto?” (Gades in Lartigue 1984, 98). Stella Arauzo, una delle danzatrici storiche della compagnia e attualmente suo direttore artistico, mi ha detto in un’intervista che ancora oggi i nuovi danzatori che si uniscono alla compagnia, si lamentano perché a loro “non è permesso zapatear” (Arauzo, 8 maggio 2006), in quanto Gades rifuggiva il virtuosismo ad ogni costo. A lui interessava molto di più l’intensità di un gesto. In più il suo flamenco è figlio dei tempi in cui visse, ossia la Spagna franchista e post-franchista per cui rappresenta anche uno strumento di resistenza e di affermazione della libertà. Egli afferma a proposito dei costumi e dell’uso delle luci, per lui un elemento coreografico essenziale: “ho levato tutto quello che dicevano essere il flamenco: i vestiti con tessuto di seta, le decorazioni brillanti…cose che vedevo che il popolo non indossava, neanche a carnevale! (…) la luce non l’ho adoperata mai per cercare il bello sul palcoscenico, ma l’ho studiata per dare il carattere dello stato d’animo (…) la mia luce è studiata perché emani dal corpo…come la voce, come la musica!” (Gades in Mandelli 2004, 91).
Flamenco e narrazione
A parte lo stile di danza di Gades, un altro aspetto è fondamentale per capire la sua visione, ovvero l’introduzione di un elemento narrativo nel percorso coreografico del flamenco. Il flamenco è un tipo di danza che di solito non mette in scena una storia. Gades, proprio con Bodas de Sangre che ebbe la sua prima rappresentazione a Roma nel 1974 (un anno prima della fine del franchismo), inaugura una nuova stagione per il flamenco, una stagione in cui l’energia dirompente di quest’arte viene fatta confluire al’interno di una storia.
Bodas de Sangre: Gades, Saura e Lorca
E la storia non è una storia qualsiasi, bensì una delle opere teatrali di Federico García Lorca più intense e poetiche. Tratta dell’amore fra Leonardo (unico personaggio ad avere nome proprio), che è sposato e ha un figlio, e una donna promessa in sposa ad un altro. La sposa e Leonardo decidono di fuggire insieme, ma vengono raggiunti dallo sposo che inizia un duello con Leonardo, duello che si conclude con la morte di entrambi.
Gades trasforma l’afflato poetico di Lorca in una serie di quadri rarefatti senza dialogo, dove la danza è l’unica protagonista. Vi è la scena toccante dello sposo con sua madre, quella tesa tra Leonardo e sua moglie, quella intensa fra Leonardo e la sposa, quella corale del matrimonio, ed infine quella magistrale del duello fra Leonardo e lo sposo. In particolare, in quest’ultima, Gades ricorre all’escamotage dell’effetto rallenty, ossia fa muovere i duellanti al rallentatore come se la scena fosse quella di un film in modalità rallenty. Vi è una cura minuziosa nei movimenti e nel passaggio tra un movimento e l'altro. Il risultato è un crescendo di tensione che culmina con la morte, inesorabile conclusione della violenza dettata dall’onore. Bodas de Sangre fu poi tradotta in film da Gades e Carlos Saura nel 1981 e rappresenta la prima opera di una trilogia che suggella la collaborazione fra i due. Le altre sono Carmen del 1983 e El Amor Brujo del 1986.
MATERIALE CITATO
Arauzo, Stella, "Intervista con l'autrice" (8 maggio 2006).
Bodas de sangre, coreografia, luci, regia Antonio Gades, libretto Alfredo Mañas, scene e costumi Francisco Nieva, musica Emilio de Diego, con Cristina Hoyos, Antonio Gades e la compagnia (Roma: Teatro Olimpico, 1974)
Gades, Antonio, Saura, Carlos, "Je vais te dire une idiotie mais je vais te la dire", in Pierre Lartigue (a cura di), 'Antonio Gades: le flamenco', L'Avant-Scène (numero monografico), 14, 1984: 96.
Mandelli, Ermanna Carmen, Antonio Gades (Palermo: L'Epos, 2004).
Simonari, Rosella, "Danzare il cante jondo: ipotesi di contaminazione fra Martha Graham e il flamenco", in Ornella di Tondo, Immacolata Giannuzzi, Sergio Torsello (a cura di), Corpi danzanti - Culture, tradizioni, identità (Nardò: Besa, 2009), 209-230.
Simonari, Rosella, "Bringing Carmen Back to Spain: Antonio Gades's Flamenco Dance in Carlos Saura's Choreofilm", Dance Research, 26, 2, Winter 2008: 189-203.
Steingress, Gerhard, Sociología del cante flamenco (Siviglia: Signatura Ediciones, 1991).
sabato 30 aprile 2011
talk with nacera belaza (dance umbrella 2010 - 3)
erase ideas, personality..."
Nacera Belaza
After the performance of Le cri on October 19th, 2010 (see here), Nacera Belaza met the audience for a brief talk. Her work method is as interesting as her piece. "What did you do at the beginning of this piece?", asked the interviewer. "I try to empty my body and soul, make room...", she replied. In other wrods, she attempts to put her body in a different state, preparing it for a different approach to movement. The use of repetition is particularly stricking and functional: "Repetition is important to stop thinking and stop the audience from thinking", she added. Belaza studied traditional dances, because she believes that "dance is about observing and putting oneself in a state...". According to her, the use of repetition enables her to go to another place and to open a relationship with something or someone. Her goal is to be free and her belief is that "every aspect of movement is an aspect of the human being". Behind this approach is her idea to build a structure, she is not interested in choreography, but in building structures. In this sense, there have to be strict rules in order to achieve this result as her movement is not natural and spontaneous, but, as has been said, is the result of a specific and profound study.
le cri (dance umbrella 2010 - 2)
Choreography: Nacera Belaza
Dancers: Dalila Belaza, Nacera Belaza
Lighting designer: Eric Soyer
Lighting technician: Christophe Renaud
Video and sound: Nacera Belaza
Date of performance: October 19th 2010.
Video: click here.
Photographs: click here.
Two women appear as two indistinguishable shadows that little by little emerge from darkness. They stand midstage centre, moving their arms in hypnotic circles. They are barefoot and wear the same costume, a purple t-shirt and purple track-suit trousers. For a long time they keep on moving their arms without taking one single step. The music is a chant that sounds like a lament that perfectly suits the almost ritualistic atmosphere. The volume of the chant gets louder, but there is no significant variation in the movement dynamics. Then they move to the proscenium, where their hypnotic arm movement comes to a stop. The music changes, and an opera song begins to be played. They move again centre-stage. The piece ends with these two figures multiplied on a large screen performing a similar movement at a hyper-fast pace.
Repetition and difference are the main elements in this fascinating piece which captures the audience's attention in an original way. The formal synthesis of the piece recalls some modern dance works like Martha Graham's Lamentation where the dancer stands seated on a bench for most part of the performance. On the other hand, its hypnotic element is similar to that of the Dervishes, whose whirling dancing is done to achieve a kind of sacred ecstasy.
sabato 2 aprile 2011
martedì 29 marzo 2011
il corpo delle donne svuotato (ancora una volta)
Nel corso delle ultime settimane nella provincia di Ancona l'immagine del pancione di una donna incinta ha tappezzato le vie della città. Nella città di Jesi (An), un altro manifesto si è aggiunto con il dipinto di una donna con indosso un abito bianco e verde e un mentello rosso. Il primo manifesto è la pubblicità della Confederazione Nazionale Artgianato della Piccola e Media Impresa (CNA) della provinica anconetana, creato dalla Tonidigrigio - laboratori creativi, mentre il secondo è stato utilizzato dal comune di Jesi per pubblicizzare le iniziative inerenti i festeggiamenti della città per l'anniversario dell'unità d'Italia durante la sera del 16 marzo, qui il link agli eventi.
In entrambi i casi si ha una reificazione del corpo femminile che viene svuotato di senso. Nel primo caso la gravidanza viene associata all'idea di sentirsi imprenditori sin dalla nascita e di lavorare ad un'impresa con la stessa dedizione con la quale si cresce un figlio. L'accento è sul corpo femminile come contenitore, come sottolinea allusivamente lo slogan "Imprenditori dentro": "Il bisogno è quello di un messaggio forte, provocatorio, essere imprenditori come essere genitori, la metafora del progetto lavorativo che diviene progetto di vita", sottolinea massimo della Tonidigrigio, ma la scelta del cliché del pancione rimanda più che altro all'essere madre ed esclude di fatto il ruolo del padre dall'immaginario proposto. La reificazione è inoltre accentuata dal fatto che il viso della donna non è incluso nella foto. Infine, questa immagine diviene grottesca e paradossale se si pensa che molte donne ai colloqui di lavoro devono ancora oggi rendere conto della loro intenzione o meno di divenire madri, con il rischio altissimo che se decidono per il si non vengono assunte o vengono licenziate.
La seconda immagine fa riferimento ad un altro topos fondativo della cultura sessista nostrana e non solo, ossia quello di equipapare il corpo della donna alla patria e alla nazione (si veda per esempio anche la figura animata che fa da sigla a Ballarò). Anche in questo caso l'identità individuale non ha importanza e il corpo femminile diviene allegoria per un popolo intero. Come sottolinea Marina Warner nel suo The Allegory of the Female Form, "La forma femminile tende ad essere percepita come generica ed universale, con sfumature simboliche; quella maschile come individuale, anche quando viene utilizzata per esprimere un'idea generalizzata" (Warner, 1985: 12). In questo senso, la donna del dipinto non rappresenta la tipica donna italiana o una donna italiana in particolare, ma l'idea stessa di nazione ed è per questo unidimensionale, per usare il termine che Warner utilizza per illustrare una simile incongruenza per quanto concerne la Statua della Libertà statunitense (Warner, 1985: 12). La Statua rappresenta il concetto di libertà ma non certo la libertà delle donne statunitensi, nonostante sia e sia stato un potente veicolo di speranze e sogni. L'allegoria del dipinto si carica di un ulteriore tassello grazie ai riferimenti cromatici dell'abito che rimandano al tricolore della bandiera italiana.
Questa analisi non è un attacco al CNA o al Comune di Jesi, ma all'immaginario che essi purtroppo contribuiscono a perpetrare.
whale talking (8)
and I feel empty and exhausted
I almost miss her huge floating mass around me
I am at the still point
where everything could move
and nothing does
I am left alone
on the edge of a windy cliff...
domenica 27 marzo 2011
coca-cola light
La danza è una danza di gruppo curiosamnte ordinata, in cui si eseguono soprattutto dei passi ritmati enfatizzati dai movimenti delle braccia che non sono però ben visibili. Arrivati vicino al distributore automatico completo del logo della coca-cola light, i movimenti si fanno un po' più fetish con il torso piegato in avanti e la mano destra che percuote il proprio sedere per tre volte. A questo segue un altro passo in avanti e uno slancio della gamba sinistra. E' attraverso questo slancio che la nostra impiegata centra il pulsante che le eroga la lattina di coca-cola light. Lo spot si conclude con l'impiegata in primo piano che sorseggia la bevanda e le sue amiche che in secondo piano si muovono in modo sconclusionato appoggiandosi l'una alla schiena dell'altra.
L'idea delle marionette rende lo spot particolare e ironico, oltre che permettere la messa in scena di passi di danza di difficoltà elevata come il salto dalla scrivania, senza l'ausilio di danzatrici professioniste. Le marionette sono tutte magre e vestite con abiti trendy. In particolare la protagonista dello spot indossa un vestito corto lilla e dei sandali che le faciano i piedi. Ha i capelli lunghi, lisci e rosso fuoco. Assieme alle sue amiche colleghe incarna perfettamente il tipo spensierato e spregiudicato alla Sex and the City.
Questa miscela di fashion e leggerezza acquista senso e spessore grazie alla canzone che molti apprezzano per il ritmo accelerato, molti ricordano come una hit degli anni Ottanta e solo alcuni riconducono al film culto che l'ha lanciata, Flashdance (1983). Questi ultimi probabilmente non gradiranno l'uso parodico e farsesco che del pezzo viene fatto nello spot. Nel film infatti la canzone viene inserita in un momento clou del riscaldamento della protagonista, qui la sezione al riguardo. Come si può notare, anche in questo caso si ha un primo piano sui piedi, ma essi sono scalzi, bendati e avvolti in caldi scaldamuscoli, dettagli tipici di un danzatore di danza moderna o contemporanea. La sequenza alterna primi piani del viso dell'attrice Jennifer Beals, del bacino e pelvi in movimento e di tutto il corpo sprattutto in esercizi a terra. L'insistenza dei ripetuti primi piani sulle pelvi tende ad eroticizzare la sequenza ed a reificare l'immagine della danzatrice nell'atto di scaldarsi. Inoltre va ricordato che non essendo Beals una danzatrice professionista fu arruolata una danzatrice per rappresenarla nelle sequenze danzate.
Il raffronto fra le marionette dello spot e la danzatrice in carne e ossa nel film evidenzia una visione molto differente del corpo danzante. Nel primo caso, il movimento viene eseguito con assenza di gravità proprio per le caratteristiche delle marionette e l'ambientazione utilizza il movimento come pretesto per un messaggio ironoco e scherzoso, mentre nel secondo caso la danza è il motore stesso della sequenza, il fulcro attorno al quale anche la canzone ruota (il ritornello recita "She is dancing like she has never danced before", ossia "sta danzando come mai prima"), il senso di gravità tipico della danza moderna proposta negli anni Ottanta è funzionale al movimento e al senso stesso della danza come espressione di fatica, sacrificio e lavoro.
venerdì 25 marzo 2011
mis-thread (dance umbrella 2010 - 1)
Choreography: Freddie Opoku-Addaie
Dancers: Louis Tanoto, Alessandra Ruggeri, Chris Rook
Music: Sarah Shanson and Fried Dahn
Set (sculptures): Friedel Buecking
Date of performance: October 19th 2010.
Video: click here.
Photographs: click here, here and here.
Three people are discussing, a white line across the stage divides one of them from the other two. In fact, this 'lone individual' (Louis Tanoto) repeatedly attempts to engage with one of the other two (Alessandra Ruggeri), while the third one (Chris Rook) moves his buttock across the line or dances a grotesque solo on one foot coated with a flaming red sock. The stage is also adorned with Friedel Buecking's evocative wooden hand-shaped sculptures, with which the dancers interact in various manners. Sarah Shanson and Fried Dahn' live music performed live by Fried Dahn gives an elegant touch to the piece.
Mis-Thread is a dance about the notion of inclusion and exclusion. It is at times fragmented, but often reveals moments of energy and lyricism.
sabato 19 febbraio 2011
primitive mysteries (1931)
Dancer: Martha Graham and her Group.
Music: Louis Horst.
Premiere: Maxine Craig Theatre, New York, February 2nd, 1931.
Photographs: click here, here, here, here, here.
Primitive Mysteries is a group work inspired by the Virgin Mary. Divided into three parts, 'Hymn to the Viring', 'Crucifixus' and 'Hosannah', it portrays crucial episodes from the Bible, such as the cucifixion and deposition of Christ, as experienced by the Virgin. The movement quality of the piece is very spare and minimal, with the Virgin often moving from a pose to another as in a tableau vivant. She is the core of the piece, even when she stands completely still, as in a part of section two. Her costume is made of white organdy and consists of a wide skirt that poetically floats as she moves, while the one of the Group is blue and its skirt is not as wide. The Group surrounds the Virgin and, in more than one case, moves in smaller groups of two, three or four. One of the most significant aspects of the choreography is the processional walk done at the beginning and end of each section. It is done in unison by all the dancers and in complete silence, so as to create the sacred atmosphere of the piece. The title, as well as the idea for this dance, came from Graham's study of Native American cultures in the North American Southwest.
Here the link to my interview to Susan Sentler who has reconstructed the piece, in more than one occasion, for the historical project at Laban.
--
Coreografia, costume, luci: Martha Graham.
Danzatrice: Martha Graham e il suo Group (gruppo).
Musica: Louis Horst.
Prima rappresentazione: Maxine Craig Theatre, New York, 2 febbraio, 1931.
Fotografie: cliccare qui, qui, qui, qui, qui.
Primitive Mysteries è una danza di gruppo ispirata alla Vergine Maria. Divisa in tre parti, 'Hymn to the Viring', 'Crucifixus' and 'Hosannah', ritrae degli aspetti cruciali della Bibbia, come la crocifissione e deposizione di Cristo, vissuti dal punto di vista della Vergine. La qualità del movimento del pezzo è semplice e minimale, con la Vergine che si muove da una posa all'altra come in un tableau vivant. Ella è il cuore del pezzo, anche quando resta completamente ferma per una parte della seconda sezione. Il suo costume è fatto di organza bianca e si sviluppa in un'ampia gonna che fluttua poeticamente durante i suoi movimenti, mentre quello del Group è blu e la sua gonna non è così ampia. Il Group circonda la Vergine e in più di un'occasione si sposta in gruppi più piccoli di due, tre o quattro persone.
Uno degli aspetti più significativi della coreografia è la camminata processionale fatta all'inizio e fine di ogni sezione. Viene eseguita all'unisono da tutte le danzatrici e in completo silenzio, in modo da creare l'atmosfera sacra del pezzo. Il titolo e l'idea della danza provengono dallo studio che Graham fece delle cutlure native americane del sudovest nordamericano.
Qui il link alla mia intervista (in inglese) a Susan Sentler che ha ricostruito il pezzo in più di un'occasione per l'historical project presso il Laban.
giovedì 17 febbraio 2011
la disciplina coreologica in europa
La casa editrice Aracne ha pubblicato il volume, La disciplina coreologica in Europa: problemi e prospettive, curato da Alessandro Pontremoli e Ceciclia Nocilli. Esso è il risultato di un convegno tenutosi a Valladolid in Spagna nel novembre del 2008. Il volume contiene anche un mio saggio in spagnolo su Carmen, “La seducción que danza: relación entre coreología y estudios de género en el mito de Carmen”.
mercoledì 2 febbraio 2011
un vestito di luce (2)
...sono Jean-Ephren de la Tour, ballerino al Paradiso perduto. le luci sono puntate su di me, ogni sera, dalla testa ai piedi, e illuminano la mia pelle. Ogni sera, con le ali argentate attaccate alle spalle, faccio il mio show, come una vera vedette americana che si infiamma e si dissolve in un soffio. Regno su un popolo di ballerini e di acrobati. Suscito gli applausi scroscianti di tutta la sala, in piedi davanti a me, pronta a spellarsi le mani, mentre segretamente, dietro le quinte, al'ombra del clamore, i giocolieri e l'incantatrice id serprenti si abbandonano a gelosie immonde."
Anne Hébert, Un vestito di luce, trad. e cura Maria Piera Nappi (Ferrara: Tufani, 2007), p. 51.
appello Leggere Donna