Fu quando Giovanna insegnò inglese per un mesetto presso la scuola media Francesco D’Assisi che la diatriba nei confronti del “do” ebbe luogo. Come supplente le ci volle praticamente tutto il mese per imparare i nomi dei suoi alunni, aveva sei classi e non fu facile. La questione del “do” nacque soprattutto nelle classi prime, ma ebbe ripercussioni anche sulle seconde e sulle terze. Gli studenti non riuscivano a capire questo monosillabo che, quando assumeva la funzione di ausiliare, in italiano non veniva tradotto.
- senta prof, ma come si traduce la parola “do”?
- senta prof, ma “do” che significa?
A queste domande Giovanna aveva risposto che il “do” era come un fantasmino che si aggirava per le frasi interrogative e negative inglesi, qualora non ci fosse LUI, il re della foresta, il verbo essere. A volte Giovanna si lasciava trascinare dalla sua immaginazione e si perdeva in invenzioni improbabili che spesso lasciavano gli studenti di stucco. Poi seguivano commenti e risate.
- un fantasmino? E che vuol dire?
- prof, ma per fantasmino intende il calzettino piccino piccino, quello che non si vede?
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