martedì 28 settembre 2010
is a word dead when it is said? (essay)
lamentation (1930)
Dancer: Martha Graham.
Music: Zoltan Kodaly.
Premiere: Maxine Elliott's Theatre, New York, January 8th, 1930.
Video: click here (fragments of the piece performed by Graham) and here (the 1976 perfomance with Peggy Lyman).
Photographs: click here, here, here and here.
Lamentation is not a piece about a suffering woman, but about the notion of pain. It is a very minimal solo work, as the dancer mainly sits on a bench, slightly moving her torso. The extraordinary aspect of Lamentation is the costume, which fundamentally contributes to giving shape to the choreography. It consists of a tubular purple fabric, originally made of wool, now made of lycra. It covers the dancer's body, except for her face, neck, hands and feet. As she moves, it draws lines that connect parts of her body, thus creating the dynamic tension of the work.
Here is the link to another analysis I made, based on important dates related to the piece.
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Coreografia, costume, luci: Martha Graham.
Danzatrice: Martha Graham.
Musica: Zoltan Kodaly.
Prima rappresentazione: Maxine Elliott's Theatre, New York, 8 gennaio 1930.
Video: cliccare qui (frammenti del pezzo in cui danza Graham) e qui (la performance di Peggy Lyman del 1976).
Fotografie: cliccare qui, qui, qui e qui.
Lamentation non ha a che fare con una donna sofferente, ma con l'idea del dolore. E' un assolo molto minimale, in quanto la danzatrice sta soprattutto seduta e muove leggermente il torso. L'aspetto straordinario di Lamentation è il costume, che contribuisce in modo fondamentale a plasmare la coreografia. Consiste in un tubo di stoffa lilla, originariamente fatto di lana, ora di licra. Copre il corpo della danzatrice, ad eccezione per faccia, collo, mani e piedi. Nel momento in cui ella si muove, disegna linee che connettono parti del corpo in modo da creare la tensione dinamica del pezzo.
Qui il link ad un'altra analisi (in ingelse) che ho fatto a partire da date importanti collegate all'assolo stesso.
(Traduzione in italiano inserita il 30 ottobre 2010).
lunedì 27 settembre 2010
altai (la danza di mukhtar)
In Altai (2009), l'ultimo libro dei Wu Ming, uno dei momenti più rarefatti è dato dalla danza della guerriera indiana Mukhtar, che ha luogo sulla barca che la conduce, assieme ai suo compagni e al protagonista, Manuel Cardoso, alla ricerca del pirata Mimi Reis. Mukhtar, e suo fratello gemello Hafiz, sono fedeli compagni del vecchio Ismail, che li ha liberati dallo stato di schiavitù. Qui di seguito la descrizione della danza fatta dal punto di vista di Cardoso:
La donna tracciò con un gesto bianco una figura geometrica sulle assi del ponte, poi sistemò i piedi in corrispondenza di certe linee e iniziò a muoversi in una danza che pareva simulare un combattimento. Il suo corpo sembrava appartenere a un rettile, o a una lince. Avevo veduto grandi lottatori e schermidori trovar di braccia, allenare cioè le prese e i colpi a mano nuda, e benché i movimenti della fanciulla fossero molto più aggraziati e meno diretti, le membra parevano contenere una forza simile a quella di una molla compressa, pronta a scattare (pp. 223-224).
Come si può notare, la danza è assimilabile ad un combattimento, un po' come la capoeira brasiliana, e il corpo della guerriera, anche se paragonato a due animali, non viene reificato e non è neppure oggetto di desiderio. È questo un elemento non secondario, visto che l’associazione donna –danza, di solito, sfocia in una danza di seduzione. Tanto più se parliamo dell'India, una cultura lontana dall'Europa e percepita come esotica. I Wu Ming optano piuttosto per una danza sacra strettamente collegata alla formazione di guerriera di Mukhtar. Il suo amico Ali spiega a Cardoso: "Vedi i segni che ha tracciato per terra? nella loro lingua, si chiama Kalam, Serve a rendere i passi precisi e le angolazioni di attacco e difesa efficaci. Nella lingua del Libro, Kalam significa la parola di Dio" (p. 224).
un vestito di luce (1)
Sono propio io, affacciata in bella vista alla finestra spalancata della portineria, dal lato della strada. (...) Do l'impressione di gurdar fuori, ma in realtà mi occupo segretamente solo di me stessa. Penso a me incessantemente. E ai soldi. I soldi di cui ho bisogno per esprimermi pienamente, senza limiti, in tutta la mia persona, interamente esposta al sole immenso della notorietà. Il mio unico figlio, Miguel, è con me, nello stesso insostenibile fulgore. Un vero piccolo torero, radioso nel suo luccicante costume. Che sia nudo o vestito, mio figlio brilla e io, sua madre, brillo con lui. Olé! olé! sento le grida della folla in delirio."
Anne Hébert, Un vestito di luce, trad. e cura Maria Piera Nappi (Ferrara: Tufani, 2007), p. 11.
appello Leggere Donna
lunedì 20 settembre 2010
spot core
Alla fine di questo estratto una frase recita: "Non mutilate la danza contemporanea", frase che stravolge la leggerezza e sottile ironia del video, in quanto si fonda su di un principio di esclusione e di negazione. Mi spiego. L'imperativo negativo associa il corpo mutilato per finta della danzatrice alla metafora della mutilazione della danza contemporanea, che soffre di poca attenzione da parte di enti e media. Il retaggio attaccato a quell'imperativo negativo fa, in qualche modo, leva sull'ideologia del corpo perfetto di matrice rinascimentale, quella stessa ideologia che ha portato alla creazione della danza classica. In questo modo si attua l'esclusione dalla danza contemporanea di tutti quei corpi differenti, magari mutilati o diversamente abili, che, invece, proprio lì, hanno trovato e trovano una zona franca dove potersi espirmere liberamente. Mah...
l'eredità dei maestri
domenica 19 settembre 2010
heretic (1929)
Dancers: Martha Graham and her Group of female dancers.
Music: Old Breton song, 10 bars long, repeated throughtout the dance.
Premiere: Booth Theatre, New York, April 14th, 1929.
Video: click here.
Photographs: click here, here and here.
Heretic is the first important group work Martha Graham created in her career. In particular, it is the first piece through which her choreosophy (embodied choreo-knowledge) gained shape. It consists of the sharp contrast between an individual and a group. This contrast is created through two main aspects: the colour of their costumes, white for the lone protagonist and black for the group; and their movement quality, fluid for the former, and rigid, mechanical and performed in unison for the latter. The title of the piece refers to the white-dressed dancer's battle against the wall of black-dressed women, who is trying to stop her from expressing herself. These women represent the puritanical concept of art, a concept filled with denial and lack of freedom, while the heretic embodies the notion of art as freedom. It also embodies Graham's attempt to affirm her notion of dance as a serious art, as opposed to dance as pure entertainment. In the end, the heretic is defeated.
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Coreografia, costumi e luci: Martha Graham.
Danzatrici: Martha Graham e il suo Group di danzatrici.
Musica: Vecchia canzone bretone, di 10 battute, ripetuta durante la coreografia.
Prima rappresentazione: Booth theatre, New York, 14 aprile 1929.
Video: cliccare qui (commentato in inglese).
Fotografie: cliccare qui, qui e qui.
Heretic è il primo importante lavoro di gruppo di Martha Graham. In particolare è il primo pezzo attraverso il quale la sua coreosofia (coreo-conoscenza incarnata) prese forma. E' caratterizzato dal contrasto tagliente fra un individuo e un gruppo. Questo contrasto è dato da due aspetti principali: il colore dei loro costumi, bianco per la protagonista solitaria, e nero per il gruppo; e la qualità del loro movimento, fluido per la prima e rigido, meccanico ed eseguito all'unisono per il secondo. Il titolo del pezzo fa riferimento alla battaglia che la danzatrice in bianco combatte contro il muro di donne in nero, che tenta di impedirle di esprimersi. Queste donne rappresentano il concetto puritano dell'arte, un concetto pieno di negazione e mancanza di libertà, mentre l'eretica incarna l'arte come libertà. Esso rappresenta anche il tentativo di Graham di affermare la sua nozione di danza come arte seria, in contrasto con la nozione di danza come puro intrattenimento. Alla fine, l'eretica viene sconfitta.
sabato 18 settembre 2010
il ballo di paride
E' un movimento piuttosto meccanico che si discosta dai balli imbevuti di pseudo-sensualità propinati dalla televisione degli ultimi anni. Richiama lo stile della break-dance proprio per lo scatto del bacino fatto in corrispondenza del movimento delle braccia in senso constrario. Cabello chiede ai suoi ospiti di farlo a seguito della loro entrata in scena. In diversi casi, nascono delle varianti, come l'esecuzione lenta e sensuale di Ornella Muti (qui il link) che non comporta lo spostamento di peso, quella con l'aggiunta di passi di Luca Tomassini (qui), quella a trenino del Trio Medusa (qui), quella con shake finale di Lunetta Savino (qui). Dato che il ballo si adatta a qualsiasi tipo di musica, essa viene cambiata di volta in volta.
Su facebook vi è il fan club del programma che porta il nome di questo ballo. Qui il link.
sabato 11 settembre 2010
venerdì 10 settembre 2010
veline, nyokke e cilici
Giovanna Campani, Veline, nyokke e cilici - femministe pentite senza sex e senza city, prefazione di Franca Bimbi, Odoya, Bologna, 2009, pp. 210, € 14.
Lo studio di Giovanna Campani è interessante e aggiunge dei tasselli importanti al discorso sulla manipolazione del corpo femminile in televisione. Docente di Pedagogia Interculturale presso l'Università di Firenze, Campani preferisce il genere pamphlet allo studio sistematico dell'argomento, che avrebbe richiesto più tempo. Questa scelta è legittima anche se va a discapito di un maggiore approfondimento, di uno stile che, in alcuni casi, diviene troppo colloquiale, e di un’approssimazione nel sistema delle citazioni che, a volte, non riportano la fonte.L’argomento trattato da Campani è spinoso. Riprendendo la teoria del backlash (contrattacco) della giornalista statunitense Susan Faludi, la studiosa sottolinea come, anche in Italia, si sia assistito, negli ultimi decenni, ad un regredire della società rispetto alle conquiste del femminismo negli anni Settanta. Campanani introduce l'argomento esemplificando la teoria di Faludi per poi proseguire illustrando gli esempi del backlash italiano, che "si è principalmente manifestato nella televisione e solo parzialmente nel cinema e nella stampa" (p. 84). Fa esempi eclatanti e riporta fonti da testi, giornali e internet.
Di particolare rilievo il suo studio sugli stereotipi di genere nei media, fatto in collaborazione con il progetto spagnolo ARESTE (acronimo di ‘eliminando stereotipi’) istituito dalla Dirección General de la Mujer della Comunità Autonoma di Madrid, a partire dal 2000. A seguito di questa esperienza, nel 2002, Campani produsse anche un video che risultò essere “una sequenza di donne discinte ancheggianti, in balletti ad alto significato erotico, nonché di donne poco vestite usate come soprammobili accanto a signori in giacca e cravatta” (p. 77). Ovviamente questo lavoro fu ignorato dal Ministero per le Pari Opportunità, che aveva già ignorato, in passato, lo studio che Campani aveva fatto per ARESTE.
Il pamphlet di Campani è incisivo su molte questioni e pone il problema in modo competente. Tuttavia, il suo discorso sembra dipendere quasi totalmente dallo studio di Faludi, che, a tratti, viene presentato come una rivelazione che non può e non deve essere ignorata. Campani ridicolizza l'importante proposta per un uso della lingua italiana rispettoso della dignità di genere di Cecilia Robustelli, sottolineando come sia “una vera battaglia contro i mulini a vento, se non si fa l’analisi complessiva del backlash” (p. 128). Attacca anche Lea Melandri che, a suo dire, parla della situazione in tv troppo tardi, “una domanda a Lea Melandri: bisognava aspettare il 2009? Non si poteva già da tempo fare qualcosa?” (p. 119). Trovo inutile questo accanimento e denigrazione del lavoro altrui. Campani si lamenta ripetutamente della mancanza di voci contro il sessismo in tv, quando già nel 2006 un altro pamphlet, aveva denunciato la situazione. Si tratta di Contro le donne nei secoli dei secoli di Silvia Ballestra, scritto con arguzia e ironia sprezzanti, “questo libro è una scenata. È una scenata mia personale. C’è chi scrive dotti saggi, chi preferisce i sermoni, e questa invece è una scenata” (p. 9). Il primo capitolo è appunto dedicato alle donne nei media, “è Mediaset: la tv di Antonio Ricci, questo progressista che ha inventato le veline, ovvero graziose ragazzette pocciute e chiappute (sempre riprese dal basso) da sparare nel magico mondo delle star” (p. 21).
Su chi si chiede perché le donne stiano zitte, dico che non si pone la domanda nella maniera opportuna. Le donne non sono mai state zitte: c’è un vastissima gamma di studi, eventi, libri, video di donne e uomini sulla cultura delle donne, che, per il solo fatto di esserci, testimoniano di modi altri di essere donne (penso alla produzione di piccole case editrici come quella di Luciana Tufani o ad associazioni letterarie come quella della Società Italiana delle Letterate, o ancora alla Casa Internazionale delle Donne che raccoglie molte associazioni e non solo); essi però restano ai margini del mondo mediatico e, spesso, anche di quello accademico. Bia Sarasini, a proposito del presunto fallimento del femminismo, parla della rimozione che ne è stata fatta, “il Movimento è stato estromesso dal racconto corrente della società e della politica italiana” (qui il suo articolo) . Semmai bisognerebbe chiedersi come mai ciò sia accaduto e che ruolo abbiano o non abbiano avuto le femministe al riguardo.
che banca! (lancio)
Nel 2008, Che Banca!, la banca del Gruppo Mediobanca, ha lanciato uno spot televisivo ispirato al musical statunitense, curato dalla agenzia Casiraghi Greco &. Qui il sito dell'agenzia dove si può trovare lo spot lancio. I 30 secondi dello spot sono pieni di frasi coreografiche danzate al ritmo incalzante della celebre canzone di Fred Buscaglione, Che bambola! (1956), il cui testo è stato riadattato per l'occasione. In particolare, il nome stesso della banca ricalca l'espressione esclamativa del titolo della canzone, ponendola su di un livello diverso rispetto ai nomi delle altre banche. Il fatto poi che questa esclamazione sia preceduta da un fischio, presente già nella canzone di Buscaglione, non fa che aggiungere enfasi su enfasi.
La coreografia si apre all'interno di una delle filiali della banca, dove un piccolo esercito di danzatori e danzatrici si muove in completi e tailleur grigio chiaro, per attrarre un cliente (il protagonista dello spot) che passa di lì. Egli si ferma, entra e si ritrova attorniato dagli impiegati danzatori, tra i quali spunta un'impiegata in giacca a pantaloni che gli fa fare un 'casché' appassionato. Il fatto che sia lei a guidare il passo invece che lui (di solito è un uomo che sorregge la donna mentre esegue questo tipo di passo in danze come il tango) viene invalidato dal sottotesto sessista della canzone, in quanto, subito dopo, uno degli impiegati emette il fischio a cui segue l'espressione esclamativa ‘Che Banca!’. In questo modo, viene stabilito un nesso diretto fra la banca e la danzatrice, in un certo senso la banca viene presentata come se fosse una donna attraente.
A seguito di questa frase coreografica, tutti escono dalla banca, quasi a voler contaminare il resto del quartiere con la loro allegria. Vi sono passi eseguiti da singoli danzatori e di nuovo dal gruppo di impiegati in grigio, questa volta divisi per genere, le donne stanno pressoché ferme, mentre gli uomini si muovono secondo due linee sfalzate. Lo stile è principlamente costituito da salti, giri e slanci delle gambe, con delle citazioni dal tip tap, come nella sequenza, dal sapore anni Cinquanta, in cui due addetti ai bagagli di un hotel, eseguono dei calci saltati. Ad essi si aggiungono molte altre persone, fino alla scena finale dove il protagonista rilancia fischio ed esclamazione da un balcone mentre, nella piazza sottostante, tutti gli altri danzano insieme come presi da un'euforia collettiva.
sabato 4 settembre 2010
sally rand and martha graham
Covarrubas's cartoon is significant in conveying how Graham's dance was perceived at the time. Graham was not yet the icon she would become from the 1940s onward, and her approach to dance was seen as too serious and obscure. A dance critic (possibly John Martin) used to say that, as a dancer, she did an inadmissable thing, she made you think!
Graham's attempt, as well as the attempt of other modern dancers, such as Doris Humphrey and Helen Tamiris, was to create a respectable place for dance in the arts. To do so, she avoided all the seductive and exotic tinges, which were typical of vaudeville circuits, and stripped body movement to its bare essentials.