Letteratura e altre arti
Nel delineare una mappatura della New Italian Epic, Wu Ming 1 sottolinea come l’epicentro sia “nello specifico letterario, in ciò che distingue la letteratura dalle altre arti” (Wu Ming 1, 2009: 21). Secondo Wu Ming 1 “in letteratura le immagini non sono già date” (Wu Ming 1, 2009: 21) e questo aspetto permette al lettore di immaginare, di partecipare e co-creare assieme allo scrittore l’opera in questione, mentre in altre arti come il cinema le immagini sono già date e allo spettatore viene chiesto di guardare. Secondo questa differenziazione, arti come il cinema non mettono in moto la capacità degli spettatori di co-creare, essi sono ‘solo’ chiamati a guardare, spectare, come l’etimologia del termine suggerisce. Sembra quindi che tutto ciò che è visivo non sia così stimolante come l’atto di lēgere, raccogliere. Sembra che le arti visive (teatro, danza, cinema ecc.) non lascino spazio all’immaginazione. Con questo assunto Wu Ming 1 esalta il ruolo della letteratura come privilegiata rispetto alle altre arti, creando una divisione di carattere binario. Questa asserzione viene ripresa da Marco Amici nel suo saggio “Il fronte davanti agli occhi. Alcune riflessioni sul New Italian Epic”. Anche Amici sottolinea “l’opposizione dello sguardo del lettore (attivo, critico, creativo) e quello dello spettatore (passivo)” (Amici, 2008), esaltando il potere della letteratura di interpretare il “nostro tempo, grazie alla sua irriducibilità alle dinamiche dei flussi” (Amici, 2008). In questa sede non si vogliono criticare le affermazioni di Wu Ming 1 e di Amici di per se stesse, ma le si intende prendere come punto di partenza per parlare del rapporto fra New Italian Epic, letteratura e altre arti, con particolare riferimento alla danza, che è l’oggetto della mia ricerca da un po’ di tempo.
Sia l’atto di leggere che l’atto di guardare hanno a che fare con una questione visiva. Come ha mostrato Marshall McLuhan, l’invenzione della stampa ha rivoluzionato la cultura occidentale con la creazione dell’essere umano tipografico e la tirannia della lingua scritta (McLuhan, 1962, si veda anche Ong, 2002). La letteratura e, soprattutto il romanzo, hanno fortemente beneficiato di questo cambiamento. L’impatto che il romanzo ebbe nel Settecento fu dirompente con una ‘febbre da lettura’ che venne additata come pericolosa (Littau, 2006: 39). Prima di questa rivoluzione, la lettura era una ‘performance’ che veniva fatta ad alta voce e in compagnia, era un atto collettivo che richiedeva una partecipazione del corpo attraverso la voce. Con l’invenzione della stampa e l’avvento di Luteranesimo e Protestantesimo, il leggere divenne una pratica individuale fatta in silenzio e questo agevolò l’aspetto più riflessivo ora connaturato a questo campo (Littau, 2006: 37). Nonostante ciò, l’atto di leggere ha a che fare con l’incontro e la compresenza di corpi, il lettore e il testo (Littau, 2006: 2). Al pari del guardare, esso non è solo una questione di immaginare, interpretare o riflettere, ma anche di sentire, percepire (con) il proprio corpo. Il lettore non è una figura astratta, ma un essere in carne e ossa che si commuove, che si lascia trasportare e, a volte, anche ingannare da un testo. Il rapporto scrittore-lettore esemplificato da Wu Ming 1 è forse un po’ troppo idealizzato e assolutizzato.
L’atto del guardare è complesso e caratterizzato da una reazione più che da una riflessione. Siamo in questo caso nella sfera della percezione che viene di solito considerata inferiore rispetto a quella intellettiva. Come sottolinea Nicholas Mirzoeff “la cultura occidentale ha costantemente privilegiato la parola scritta come la più alta forma di pratica intellettuale e considerato le rappresentazione visive come illustrazioni di seconda mano delle idee” (Mirzoeff, 1999: 6). Questo non è dovuto solo all’atto medesimo, ma anche al contesto in cui viene fatto. A differenza del lettore, lo spettatore accetta una specie di patto che lo porta ad essere in un determinato luogo (cinema, teatro o altro spazio, anche la tv in maniera diversa) ad una certa ora per accogliere gli stimoli della performance. Ciò permette una fruizione diversa e limitata rispetto alla lettura che può essere fatta in diversi luoghi oltre che a casa secondo le proprie esigenze. L’atto di guardare, specie se rivolto ad uno spettacolo teatrale o coreutico, implica la co-presenza di attori, danzatori e spettatori. Tra loro si instaura un’empatia che in qualche modo contribuisce a determinare la riuscita della performance. Il concetto di presenza è il riconoscere l’altro come una persona “che esiste contemporaneamente a noi e notare che egli rientra nel raggio dei nostri sensi” (Bazin, 1951: 409). La danza poi non usufruisce quasi mai dell’ausilio della parola, per cui l’empatia si ha soprattutto attraverso i corpi. Lo spettatore non è passivo, il battere o meno le mani durante lo spettacolo e/o alla fine, il fischiare, il lanciare oggetti o altro, il lasciare il proprio posto prima della fine della performance, tutti questi elementi comportano una agency che influenza la rappresentazione (e che prosegue anche dopo la rappresentazione stessa). Si pensi all’esordio funesto de La sagra della primavera nel 1913, quando lo stile en dedans di Nijinskij e la musica di Stravinskij sconvolsero il pubblico di allora che reagì con urla e fischi. Il guardare non è privo di immaginazione e non ha solo a che fare con immagini prefissate, esse possono essere di diverso tipo e stimolare l'immaginazione oltre che far riflettere. La modern dance e, nello specifico, la danza di Martha Graham degli anni Trenta, portarono ad un cambiamento radicale nel modo di concepire la danza, che non venne più vista solo come arte di intrattenimento, ma come "istituzione sociale" (espressione presa in prestito da Susan Bennett a proposito di Brecht, Bennett, 1997: 22) e culturale. Le caratteristiche specifiche di arti come la danza, il teatro e il cinema ne fanno arti di tipo collettivo e di difficile produzione in termini di costi e investimenti come ha già sottolineato Alessandro Pardi (2008). La danza, in particolare, è un’arte tuttora marginalizzata e priva di strutture e regolamentazioni che ne permettano una visibilità e fruizione maggiori. Per questo forse l’epicentro più importante della New Italian Epic è letterario e non coreutico. Per questo l’opera di video danza Omaggio ad Alda Merini, che è un lavoro in risonanza con la New Italian Epic, non ha ragione di essere distribuita, in quanto venderebbe pochissime copie. Nonostante questo, sia nel campo della danza, soprattutto contemporanea, che in altri campi, come quello del teatro e dei fumetti, si possono rintracciare altri epicentri della nebulosa.
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