lunedì 29 settembre 2008
domenica 28 settembre 2008
sappiano le mie parole di sangue e new italian epic (4)
L’immagine del sangue in relazione alla scrittura rimanda ad una scrittura del corpo consapevole dei suoi flussi e fluidi, oltre che del suo vissuto. Non a caso una sezione del libro è dedicata alle mestruazioni: “non fa rumore, il sangue che cola e scola fra le mie gambe (…). È il lacrimoso amalgama di umori e di materie” (Jones, 2007: 134). Il sangue da fluido corporeo diviene inchiostro rosso, il sangue diviene figurazione della scrittura corporea e sessuata. E questa attenzione alla scrittura come corpo sembra evocare l’écriture féminine teorizzata da Hélène Cixous nel suo famoso saggio “Il riso della Medusa” (1975): “bisogna che la donna scriva il suo corpo, che inventi la lingua inafferrabile che faccia saltare le pareti, le classi e le scuole di retorica, le ordinanze e i codici, che sommerga, trapassi, valichi il discorso-con-riserva ultima, ivi compreso quello (…) che, mirando all’impossibile, si ferma di botto davanti alla parola ‘impossibile’ e la scriva come ‘fine’” (Cixous, 1997: 235). L’ écriture féminine è un tipo di scrittura non necessariamente collegata biologicamente all’essere femmina, quanto piuttosto alla scrittura “che annulla la distanza fra corpo e parola” (Bono, 2000: 7) oltre che fra i rapporti dicotomici di uno/altro, per cercare vie molteplici all’essere, al divenire e allo scrivere. Cixous riprende l’immagine dell’inchiostro bianco, riallacciandosi al simbolo materno di creazione, mentre Jones preferisce usare la figurazione del sangue, del suo colore, della sua liquidità per darci delle pennellate della sua guerra nei Balcani. Come ella stessa sottolinea, la guerra da combattere è, alla fin fine, quella che combattiamo con noi stessi.
Ed è proprio in questo modo instabile di vivere la scrittura o di praticare la “scrittura della vita”, come l’ha definita Sbancor (Sbancor, 2007), che Jones ci mostra la sua prospettiva, lo “sguardo obliquo” di cui parla Wu Ming 1, la “fusione di etica e stile” (Wu Ming 1, 2008: 14).
Materiale citato:
- Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue (Milano: Rizzoli, 2007).
- Hélène Cixous, “Il riso della Medusa” (1975), trad. Catia Rizzati, in Critiche femministe e teorie letterarie, R. Baccolini, M.G. Fabi, V. Fortunati, R. ponticelli, a cura di (Bologna: CLUEB, 1997), pp. 221-245.
- Paola Bono, “Scritture del corpo”, in Scritture del corpo – Hélène Cixous variazioni su un tema, a cura di Paola Bono (Luca Sassella: Roma, 2000), pp. 7-19.
- Sbancor, “Sbancor: su Babsi Jones”, Carmilla, 26 settembre 2007.
- Wu Ming 1, “New Italian Epic – Memorandum 1993-2008: narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro”, 19 marzo-20 aprile 2008, versione 2.0,18 agosto – 12 settembre 2008 (le pagine citate fanno riferimento alla versione 2.0).
sappiano le mie parole di sangue e new italian epic (3)
L’attenzione verso la scrittura in Sappiano le mie parole di sangue emerge a cominciare dal titolo, ispirato ad una battuta di Amleto: “Da ora / i miei pensieri sappiano di sangue, / o non siano più niente” (atto IV, scena IV). Ritroviamo l’insistenza sulla scrittura anche nella copertina, dove il corpo raccolto di una persona (Jones stessa?), che mostra l’avambraccio con un rivolo di sangue che scorre verso l’alto, viene presentato assieme a pagine scritte in rosso che fanno da sfondo all’immagine. Questa attenzione torna puntuale all’inizio di ogni giornata contrassegnata dalla riproduzione di una pagina di appunti scritti a mano, presumibilmente da Jones stessa.
Ma la riflessione sulla scrittura si fa veramente corpo proprio all’interno del quasiromanzo, scritto in prima persona e che esprime dubbi, non solo per quanto concerne gli eventi che la protagonista dovrebbe/vorrebbe narrare, ma anche e soprattutto per quanto riguarda l’insufficienza della lingua, delle lingue a sua disposizione per esprimerlo.
Questo dubbio si fa spesso rabbioso sfogo ed è forse in questo senso che possiamo parlare di fallimento. Wu Ming 1 nel suddetto saggio sulla NIE, sottolinea come Sappiano le mie parole di sangue sia un fallimento e che, come tale, sia comunque interessante (Wu Ming 1, 2008: 22). Il fallimento al quale faccio riferimento è piuttosto una consapevolezza del non poter dire, non riuscir a dire quello che si vede e vive. È una riflessione sui limiti della lingua di poter comunicare, è mettere in discussione la capacità del giornalista di poter riportare eventi in modo neutro o quantomeno oggettivo. Esemplificativa è la pagina in cui Jones parla del percorso del reporter e dello scrittore. Se il primo “dà in pasto all’opinione pubblica” (…) “una notizia che regge” (Jones, 2007: 65), il secondo procede a tratti, attraverso il dubbio: “le parole si sospendono di colpo, in certe ore (…); poi il flusso riprende: parola per parola, la piaga verbale spurga e mi spossa” (Jones, 2007, 65).
A differenza di Sappiano le mie parole di sangue, Gomorra di Roberto Saviano (per citare un altro testo incluso nella NIE) ha più rispetto per la lingua italiana, ne sfrutta ad arte gli espedienti retorici, conferendo al testo forza e coerenza. Jones è irriverente, il suo italiano è costantemente minato e contaminato da altre lingue, dal bisogno di trovare altri modi per esprimere la realtà dei Balcani. L’io narrante sembra sempre perdere il controllo, sembra più coinvolto e destabilizzato. Allo stesso tempo, Babsi Jones, così come Saviano, ha ‘fede’ nella scrittura, nella sua potenzialità sovversiva e di denuncia, ha “fiducia nella parola e nella possibilità di ‘riattivarla’, ricaricarla di significato dopo il logorìo di tòpoi e clichés” (Wu Ming 1, 2008: 14), proprio perché alla fine il libro è stato scritto ed è arrivato fino a noi.
Materiale citato:
- Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue (Milano: Rizzoli, 2007).
- Wu Ming 1, “New Italian Epic – Memorandum 1993-2008: narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro”, 19 marzo-20 aprile 2008, versione 2.0,18 agosto – 12 settembre 2008 (le pagine citate fanno riferimento alla versione 2.0).
l'ira di tersicore (dopo aver visto "il ballo delle debuttanti")
Un giorno Tersicore si destò e disse basta. Scese sulla Terra armata di coraggio e ira e iniziò a dissolvere (così con un soffio, glielo aveva insegnato Morfeo) tutte quelle porcherie che in giro gli umani continuavano a chiamare con il nome di danza. Danza! Ma che sapevano queste persone di danza? Saper alzare una gamba o fare una piroetta non voleva mica dire danzaaaa! Era stata buona e tranquilla per troppo tempo, era necessario ristabilire una decenza. Possibile che a nessuna di queste persone fosse stato impartito anche solo qualche elemento base di storia e cultura della danza? Non riusciva a crederci, eppure, continuavano imperterriti a chiamare ‘corpo di ballo’ due o tre fanciulle seminude che agitavano i fianchi su musichette anonime. Continuavano a chiamare danza quello che era pura esecuzione (mal eseguita) di un passo o di una frase coreografica. Eh, frase coreografica, cielo chissà che sapevano poi di quello che erano le frasi coreografiche!
rosso come una sposa
sabato 27 settembre 2008
dialogo dei tre gessetti
Spezzato: zitto zitto, che se ti sente comincia con le sue tiritere.
Piccino: che c’è che non va? Sei appena arrivato, datti una calmata!
Intero: è che mi sembra che la lavagna si dia troppe arie. Senza di noi che si crede di fare? La protagonista di che?
Piccino: lo so lo so, ma lasciala fare, che lei sta sempre appesa qui, non sa cosa vuol dire essere spesso in movimento. Prendi me, per esempio. Ieri la prof di matematica mi ha lanciato di nuovo contro gli alunni.
Spezzato: quella è isterica. Altro che caos in aula l’ultima ora del sabato. Con la prof di matematica chi sgarra si becca uno di noi sulla testa!
Intero: Cielo, davvero succedono di queste cose? Io pensavo di meritare un po’ di rispetto.
Piccino: rispetto? Ma che…se non fosse per la bidella Belinda sarei nel cestino dell’immondizia o, peggio ancora, schiacciato da qualche ragazzino mentre si mette seduto o gioca col compagno.
venerdì 26 settembre 2008
monologo della lavagna (inizio scuola)
Ci risiamo, la scuola è iniziata di nuovo. Il viavai dei professori, la vivacità dei ragazzini, insomma si ritorna a lavorare. Ed era ora! Starsene da soli in un’aula per tre mesi non è una bella esperienza, si e no che si incontra una zanzara o una formica errante. Una tristezza assoluta. Mentre durante l’anno scolastico io sono quasi sempre la protagonista. Sono il terrore di chi viene mandato a scrivere una frase...uuh l’analisi logica, adoro quando l’insegnante di italiano fa fare l’analisi logica. E che dire dei problemi di matematica, uno spasso. Tutti quei numeri e quei simboli. Da qui se ne vedono delle belle, come per esempio la faccia degli studenti all’inizio della prima ora del lunedì, quasi tutti assonnati e tranquilli o il caos che fanno all’ultima ora del sabato. Volano aeroplani di carta, biglietti, pezzetti di gomma.
La scuola è iniziata, si aprano le danze!
margherita hack
Ascoltare Margherita Hack in una delle sue conferenze è come guardare il mondo da un’altra prospettiva, una prospettiva che ti fa rendere conto di quanto tu sia impercettibile eppure parte di un sistema complesso e infinito. Che ‘diranno’ le stelle di noi? Cosa penseranno di questi esserini che viaggiano tranquilli (mica poi tanto) verso l’autodistruzione? Certo, il sole ingloberà la terra fra cinquanta miliardi di anni, ma non c’è tanto da preoccuparsi perché, come mi ha fatto notare un’amica, per allora il genere umano sarà probabilmente estinto.
martedì 23 settembre 2008
the waves (1)
"When I cannot see words curling like rings of smoke round me I am in darkness - I am nothing." V.W.
lunedì 22 settembre 2008
sappiano le mie parole di sangue e new italian epic (2)
Lo stile epistolare vanta una lunga genesi che è rintracciabile sin dalla fine del 1400 con opere narrative che includevano numerose lettere all’interno del testo. Questo stile è stato spesso usato dalle scrittrici, in quanto rappresenta un ponte fra il privato, alle quali erano spesso confinate, e il pubblico, spazio generalmente appannaggio degli uomini. Secondo Anne Bower, “nello spazio privato delle lettere, le donne (…) hanno la libertà personale nella quale riscrivere se stesse e, a volte, gli altri” (Bower, 1997: 5). Il genere epistolare può includere lettere, diari o anche altri documenti. È un genere intimistico che ha ispirato molte opere famose anche nel Ventesimo secolo. Esempi celebri sono il Diario di Anna Frank (1986), o Il colore viola (1982) di Alice Walker, entrambe volte a trattare esperienze dolorose e traumatiche. Rispetto all’utilizzo della lettera, che presuppone una risposta anche se immaginaria (Bower 1997: 6), il diario è una sorta di dialogo con se stessi, manca di quell’apertura propria della lettera.
Lo stile epistolare viene ripreso da Babsi Jones nel suo Sappiano le mie parole di sangue e viene destrutturato. Le sue lettere immaginarie sono rivolte ad una figura simbolica chiamata Direttore, che sembra rappresentare, come ho già affermato altrove, “tutto quello che l’informazione ha di distorto, marcio, manipolato” (Simonari, 2008: 18). È un rivolgersi sarcastico che non permette l’uso del classico incipit ‘caro’ e che emerge non tanto all’inizio di ogni brano, ma all’interno della narrazione, spezzando l’illusione della storia e riportando il lettore alla realtà iniziale dell’opera che comincia appunto con “Direttore, / dovrei dirti che è l’ultimo giorno, ma non so di che cosa: di qualcosa che va a terminare, un finale di partita che finisce per persa” (Jones, 2007: 9). Già da questa prima frase emerge la stanchezza, la sfiducia e il dubbio della protagonista che, nell’uso del condizionale, mostra l’irriverenza che caratterizzerà il suo rapporto con il Direttore.
Sappiano le mie parole di sangue riprende della lettera la struttura che indica la data e il luogo, mescolandola con il fax o l’email con l’inserimento dell’oggetto, come a dire il tema della missiva. A queste indicazioni, però, non corrispondono informazioni pertinenti. Per esempio la prima sottosezione riferita alla prima giornata apre con “Tempo reale. Lunedì. / Una kafana. Mitrovica nord. / Oggetto. Per i vivi, per i morti.” (Jones, 2007: 13). Abbiamo il giorno ma non abbiamo la data precisa, il luogo è anch’esso piuttosto vago e l’oggetto suona come una dedica, più che un tema da trattare. Inoltre la narrazione è puntellata da note esplicative o che rimandano ad altri racconti tolti in fase di editing e consultabili sul sito di Jones: http://slmpds.net/babsi (da qualche giorno il sito sembra non essere più attivo). La lettera si muta in saggio che viene, a sua volta, stravolto dallo stile giornalistico mescolato a quello del romanzo (sorvolo sull’intertestualità con Amleto a cui spero di poter dedicare una riflessione a parte). Insomma, Sappiano le mie parole di sangue è un UNO (Unidentified Narrative Object, oggetto narrativo non identificato, Wu Ming 1, 2008: 8), in quanto non collocabile all’interno di categorie come romanzo o reportage e risponde anche per questo ad alcune delle categorie della NIE (New Italian Epic, nuova epica italiana) teorizzata da Wu Ming 1, quali quella sopra citata, o quella, di cui continuerò a parlare nella prossima ‘puntata’, della “sovversione ‘nascosta’ di linguaggio e stile” (Wu Ming 1, 2008: 20), o anche quella della “comunità e transmedialità” (Wu Ming 1, 2008: 23). Ritorniamo di nuovo alla pertinenza del termine quasiromanzo, l’avverbio “quasi” rimanda a qualcosa che non è completo, finito, terminato. Allo stesso tempo esprime una condizione di vicinanza, nello specifico, al romanzo, che rimane sempre tale, creando una tensione e anche una provocazione (si veda in questo senso la recensione di Wu Ming 2 su Nandropausa del 13 dicembre 2007). Dello stile epistolare forse Sappiano le mie parole di sangue conserva il senso di apertura, il bisogno di comunicare la stoltezza della guerra e di quella guerra. È un’opera aperta dove la fine lascia il posto al senso di sospensione dato dall’ultima parola del testo, “legger” (Jones, 2007: 240), troncata e priva di alcuna punteggiatura (neanche i puntini di sospensione) a dare il sigillo finale. Sta al lettore reagire, partecipare, fare.
Materiale citato:
- Anne Bower, Epistolary responses: The Letter in 20th-Century American Fiction and Criticism (Tuscaloosa: Alabama UP, 1997).
- Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue (Milano: Rizzoli, 2007).
- Rosella Simonari, “Parole di sangue”, recensione a Sappiano le mie parole di sangue di Babsi Jones, Leggere Donna, n. 136, settembre-ottobre 2008, p. 18.
- Wu Ming 1, “New Italian Epic – Memorandum 1993-2008: narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro”, 19 marzo-20 aprile 2008 (versione 1.0), 18 agosto – 12 settembre 2008 (versione2.0)
docente a contratto
domenica 21 settembre 2008
suggestioni
sabato 20 settembre 2008
alberto granado
Un hombre pequeño y vivo, bajito pero inmenso, ha contado su amistad con Ernesto Guevara, el Fuser (furibondo + serna, su apellido), el Che. Ha hablado de sus sueños y de su vida en Argentina, Venezuela y Cuba. Fue a Jesi (Ancona) hace dos días, ¡Es increíble!
suggerimento
mercoledì 17 settembre 2008
sappiano le mie parole di sangue e new italian epic (1)
“Is she fact or fiction?” ripete Angela Carter mentre ci presenta il suo personaggio, Fevvers, una donnona trapezista che lavora in un circo e che ha un bel paio di ali. Per tutto il romanzo, Nights at the Circus (1984), non si capisce se queste ali siano vere oppure no. Una sensazione simile si ha leggendo la prosa poetica arrabbiata di Babsi Jones nel suo quasiromanzo, Sappiano le mie parole di sangue (2007), dove lo stile del reportage viene fatto esplodere da quello del romanzo che pure, a sua volta, viene scardinato. Non è finzione quella narrata da Jones, ma è cronaca filtrata attraverso una scrittura complessa, sporca, piena di rabbia e di intuizioni. Il rimando a Carter non è limitato a questa lieve e forse distante risonanza, bensì si ricollega alla vocazione di entrambe di ritrarre e creare personaggi, di solito femminili, fuori dal comune, reietti, outcasts, che vivono ai margini della società. Fevvers è un fenomeno da baraccone così come le due arzille gemelle ultrasettantenni, Dora e Nora Chance, che in Wise Children (1991), ripercorrono la loro vita di ballerine di varietà attraverso i ricordi di Dora. Le donne di Sappiano le mie parole di sangue sono anch’esse fuori dal mondo, un po’ perché rintanate in una squallida stanza del condominio Yu Prog di Mitrovica, un po’ perché stravolte e sconquassate dalla guerra. Le loro sono identità liminali, bordeline, fra essere e non essere (tanto per citare un altro protagonista del libro, Amleto). In questo loro squilibrio rimandano all’abietto teorizzato da Julia Kristeva, ossia quello stadio/stato che porta “verso il luogo dove il significato collassa” (Kristeva,1997: 230). Jones stessa sottolinea questo aspetto: "voglio scrivere di quel che non si scrive, di quel che raramente si può dire: i mutilati, i paria, gli esclusi, i caduti" (Jones in intervista di Genna, 2007).
La protagonista di Sappiano le mie parole di sangue è una giornalista che porta lo stesso nome dell’autrice, e questo comporta un ulteriore sbandamento da parte del lettore. Il luogo è principalmente Mitrovica, dove Babsi Jones resta bloccata per sette giornate, i sette capitoli del libro, a loro volta ripartiti in sottosezioni. Il tempo non è né lineare, né ciclico, quanto piuttosto rizomatico, si passa da quello che l’autrice definisce ‘tempo reale’ al 1300 al 2001 e così via. Amleto aiuta la protagonista nel suo percorso fitto di dubbi (sulla scrittura, sulla guerra, sulla Serbia, sulle donne che la circondano), Amleto è come un angelo custode incupito e stanco, un’ombra sempre presente attraverso i costanti riferimenti alla tragedia shakespeariana e l’Amletario finale.
In questa riflessione ‘a puntate’ intendo parlare del lavoro di Babsi Jones facendo riferimento a due aspetti: la decostruzione dello stile epistolare e la messa in discussione della scrittura come mezzo comunicativo. Questi due aspetti, che si riallacciano alla definizione che Jones dà della sua opera, presentandola come quasiromanzo, mi porteranno a parlare del suo lavoro all’interno di quella che Wu Ming
Materiale citato:
- Giuseppe Genna, "Babsi Jones su Vanity Fair: 'Ho scritto il sangue'", Carmilla, 3 novembre 2007 (dall'intervista pubblicata su Vanity Fair dell'11 ottobre 2007).
- Julia Kristeva, Pouvoirs de l’horreur: essai sur l’abjection (Parigi: Seuil, 1980). Versione inglese, “Powers of Horror”, in The Kristeva Reader, a cura di Kelly Oliver (New York: Columbia UP, 1997), pp. 229-263.
martedì 16 settembre 2008
farruca
¿Qué es la farruca? Un movimento de los brazos, una postura, uno zapatear preciso, la expresión de una pena profunda, la intensidad de un gesto, no sé, pero es un palo (forma musical del flamenco que tiene muchos palos) muy vehemente y vivo. Pulse aquí para ver la farruca interpretada maravillosamente por Antonio Gades.
domenica 14 settembre 2008
seppellita viva
Ispirato ad un fatto di cronaca avvenuto in Pakistan, se ne è parlato all'inizio di settembre, qui il link ad un articolo.
blocks
Blocks are unexpected, they just come out of the blue. They arrive without notice and hit you from within. One moment your head is full of ideas and your hand runs on the keyboard, and the next moment everything is gone. It is as if somebody had switched your brain energy off. The arrow looks at you from the computer screen with a perplexed glance (Can arrows look at you? Well, they can in this instance) . Not another block! It seems to say. And you stare at the words you have just written as if they were Chinese ideograms. What was I going to write? What was it that I had in mind?
No reply.
venerdì 12 settembre 2008
in volo
friday
These are the words of Susan Barton, the central character in J. M. Coetzee's Foe (1986), a rewriting of Daniel Defoe's Robinson Crusoe (1719), when she talks of Friday's dancing. It is a beautiful work. Highly recommended!
letteratura e cinema
Il dialogo fra letteratura e cinema è fertile e continuo, non si guardano da lontano, ma si insinuano l'una nell'altro e viceversa in uno scambio continuo di suggestioni e tecniche. Non si dovrebbe neanche parlare di quale dei due sia più rilevante per l'altro. Tuttora, dopo aver visto un film ispirato ad un libro, si dice, "il libro era meglio". In realtà sono due mezzi di comunicazione differenti e ognuno di loro ha delle specificità che l'altro non possiede. C'è tutta una letteratura che si sta sviluppando sull'argomento, in ambiente angloamericano viene chiamata 'adaptation' e vanta numerosi studi. Uno dei più recenti è quello di Linda Hutcheon, A Theory of Adaptation (New York: London, 2006), che allarga il quadro anche ad altri rapporti quali quello della letteratura con l'opera.
mercoledì 10 settembre 2008
la NIE (New Italian Epic)
martedì 9 settembre 2008
dead man floating
A few days ago the news showed the image which inspired this drawing
a dead man floating
an immigrant who did not make it
il giallo della tuta o abito
l’azzurro del mare
la morte fluttuante
questo disegno si ispira a quell’immagine
quella che in tv è passata come tante altre
un immigrato morto
che fluttua
immagino la sua storia
fatta di sacrifici e di inganni
di traversate e di disperazione
éste cuerpecito mío, que se ha convertido in río
e se così fosse, se davvero il suo corpo si fosse trasformato in fiume
it is possibile
his body transformed into a river
la morte è un movimento verso qualcosa
n.b. - la frase in spagnolo è tratta da "Siempre me quedará" di Bebe.
lunedì 8 settembre 2008
the clytemnestra project
domenica 7 settembre 2008
donne e pubblicità
Nel Parlamento europeo è passata una relazione che mette in discussione l’immagine stereotipata della donna nella pubblicità. Leggere qui per maggiori info. Di per sé è una bella notizia, se non fosse che alle ‘rivoluzioni’ dall’alto non ho mai creduto troppo. Senza contare che viene inoltre auspicata una maggiore attenzione al perpetrarsi di stereotipi sessisti anche nei libri scolastici, nei giocattoli, videogiochi eccetera. Sono proprio curiosa di vedere come reagiranno i ‘creativi’ pubblicitari e gli autori di libri di testo. Cosa faranno, un corso aggiornato in women’s studies? E dove poi? Si leggeranno qualche libro? Non penso proprio. Probabilmente lavoreranno in negativo, al posto di maschietti metteranno femminucce e così via.
Il timore è che gli interessi che ruotano attorno a queste dinamiche, piegheranno a loro favore anche questa situazione e la realtà non cambierà poi tanto. La società italiana è profondamente sessista e ci vorranno generazioni perché qualcosa cambi. Non è a partire dalla pubblicità che si risolvono problemi culturali di una portata di questo genere. La pubblicità è l’ultima ruota del carro che, molto spesso, lavora proprio a partire dagli stereotipi. Uno dei più insopportabili è quello di un amaro alla liquirizia che sfrutta il gioco di parole fra nero e bianco presentando un nero che invita a ‘non andare in bianco’.
the post-human dancer 1
sabato 6 settembre 2008
la scuola in tv
Da un po’ di tempo a questa parte, il filone delle serie televisive ispirate al mondo della scuola si è moltiplicato in numerose varianti: Provaci ancora prof! (2005) con Veronica Pivetti che è arrivato alla sua terza serie, I liceali (2008) con Giorgio Tirabassi nei panni di un prof di provincia che si ritrova ad insegnare in un liceo di Roma e ‘O Professore (2008) con Sergio Castellitto incentrato su di una scuola speciale volta al recupero di studenti disagiati.
Questi tre esempi mostrano i problemi che ruotano attorno alla scuola, ma sembrano omettere riferimenti alla scuola stessa che diviene mero pretesto, sfondo narrativo peraltro piuttosto idealizzato. In questa sede non si vuole riflettere sulle capacità attoriali dei protagonisti o l’originalità (qualora ve ne fosse) delle storie. Si intende guardare all’immagine che della scuola viene data.
In tutti e tre i casi, la figura del professore è presentata come quella di un eroe che va controcorrente e che ha la capacità di risolvere le situazioni difficili di ogni puntata. Per esempio in Provaci ancora prof!, la prof Camilla Baudino (Veronica Pivetti) aiuta il commissario di polizia Gaetano Berardi (Paolo Conticini) a risolvere le indagini dell’omicidio di turno oltre che consigliare i suoi studenti su come cavarsela. Inoltre, la materia di insegnamento è sempre l’italiano, come a dire che le altre materie non potrebbero essere credibili come portatrici di valori ‘sani’ o potenzialmente controcorrente. Un altro aspetto trascurato è quello della precarietà che avvolge il sistema scolastico da decenni e che mina costantemente la continuità didattica. I prof ritratti nelle suddette serie non sono dei precari, hanno mille problemi da risolvere, ma sono figure salde alla loro cattedra. Ancora, gli stranieri sembrano assenti dal corpo studentesco, quando la popolazione scolastica vanta una multiculturalità pronunciata già da tempo. Infine, l’aspetto forse più importante, la didattica, ossia l’arte di insegnare. Essa è praticamente assente dalle storie e, i pochi riferimenti, si rifanno ad un sistema obsoleto fatto di nozionismi e interrogazioni vecchio stile.
Insomma, la scuola di queste serie è una scuola piena di stereotipi e non entra nel merito di quello che il mondo della scuola è. Diverso è il caso di alcuni film americani che, in qualche modo, hanno forse ispirato le figure romantiche dei prof sopra menzionati. Nello specifico, Dead Poets Society (1989), in Italia tradotto con L’attimo fuggente con Robin Williams, Mona Lisa Smile (2003), con Julia Roberts e il più recente Freedom Writers (2007), con Hillary Swank. In questi film, la didattica è centrale ed è il perno su cui si sviluppa la trama del film. Celeberrima è la scena in cui il prof Keating (Robin Williams) chiede ai suoi studenti di strappare le pagine dal libro di testo, un gesto di importante critica verso la visione desueta di una didattica basata su nozioni, piuttosto che sul ragionamento.
E poi c’è il movimento. Nelle serie tv sopra menzionate, gli studenti, quando in classe, tendono a restare seduti, se non vanno alla lavagna per l’interrogazione. Ne L’attimo fuggente il prof Keating, fa alzare i suoi studenti, li fa salire sopra i banchi e, se li chiama in cattedra, è per sconvolgerli e tirar fuori la loro personalità, il loro spirito critico. In Freedom Writers, la prof Erin Gruwell, in uno dei momenti di svolta del film, segna lo spazio della classe a metà con un nastro adesivo rosso e chiede agli studenti di fare dei passi in avanti qualora la risposta alle sue domande risulti affermativa. Questo esercizio trasforma la classe, divisa per etnie e culture, in un gruppo compatto, che può quindi condividere eventi e tragedie comuni, che porteranno alla scrittura del diario collettivo appunto dei “Freedom Writers”. Il movimento contribuisce a rafforzare la didattica inusuale adottata da questi insegnanti e a coinvolgere gli studenti. Il movimento…
epiphanies
January 2003,
giovedì 4 settembre 2008
time is money
Tick-tock.
Skeleton crews in speed-up shifts
clang their iron deaths
and spin a wealth of misery.
Sol Funaroff
Capitalism exploitation. Dancer’s clenched fists. Spoken poem.
Jane Dudleys’ Time is Money is a solo piece she created and performed in 1934. It is danced without music. The title comes from Sol Funaroff’s poem which is uttered during the piece by somebody in the wings. It is about the exploitation of workers. Movements sometimes reflect the images suggested by the poem and, in other cases, as Mark Franko has observed, “the gesture seems to call forth the word.” It is a political piece and the combination of dance and spoken words are particularly effective. Funaroff’s poem is characterised by the onomatopoeic expression “tick-tock” on clock ticking. Its oppressive reiteration recalls the mechanical and monotonous rhythms of assembly lines. The dancer’s pace does not entirely follow that of the poem, for example, towards the end she directly addresses the audience with her body and, in this way, according to Franko, she “appropriates time as essential to the performative economy”.
In 1993
Reference texts:
Mark Franko, The Work of Dance – Labor, Movement, and Identity in the 1930s (
Ellen Graff, Stepping Left – Dance and Politics in New York City, 1928-1942 (Durham: Duke UP, 1997).