Lo stile epistolare vanta una lunga genesi che è rintracciabile sin dalla fine del 1400 con opere narrative che includevano numerose lettere all’interno del testo. Questo stile è stato spesso usato dalle scrittrici, in quanto rappresenta un ponte fra il privato, alle quali erano spesso confinate, e il pubblico, spazio generalmente appannaggio degli uomini. Secondo Anne Bower, “nello spazio privato delle lettere, le donne (…) hanno la libertà personale nella quale riscrivere se stesse e, a volte, gli altri” (Bower, 1997: 5). Il genere epistolare può includere lettere, diari o anche altri documenti. È un genere intimistico che ha ispirato molte opere famose anche nel Ventesimo secolo. Esempi celebri sono il Diario di Anna Frank (1986), o Il colore viola (1982) di Alice Walker, entrambe volte a trattare esperienze dolorose e traumatiche. Rispetto all’utilizzo della lettera, che presuppone una risposta anche se immaginaria (Bower 1997: 6), il diario è una sorta di dialogo con se stessi, manca di quell’apertura propria della lettera.
Lo stile epistolare viene ripreso da Babsi Jones nel suo Sappiano le mie parole di sangue e viene destrutturato. Le sue lettere immaginarie sono rivolte ad una figura simbolica chiamata Direttore, che sembra rappresentare, come ho già affermato altrove, “tutto quello che l’informazione ha di distorto, marcio, manipolato” (Simonari, 2008: 18). È un rivolgersi sarcastico che non permette l’uso del classico incipit ‘caro’ e che emerge non tanto all’inizio di ogni brano, ma all’interno della narrazione, spezzando l’illusione della storia e riportando il lettore alla realtà iniziale dell’opera che comincia appunto con “Direttore, / dovrei dirti che è l’ultimo giorno, ma non so di che cosa: di qualcosa che va a terminare, un finale di partita che finisce per persa” (Jones, 2007: 9). Già da questa prima frase emerge la stanchezza, la sfiducia e il dubbio della protagonista che, nell’uso del condizionale, mostra l’irriverenza che caratterizzerà il suo rapporto con il Direttore.
Sappiano le mie parole di sangue riprende della lettera la struttura che indica la data e il luogo, mescolandola con il fax o l’email con l’inserimento dell’oggetto, come a dire il tema della missiva. A queste indicazioni, però, non corrispondono informazioni pertinenti. Per esempio la prima sottosezione riferita alla prima giornata apre con “Tempo reale. Lunedì. / Una kafana. Mitrovica nord. / Oggetto. Per i vivi, per i morti.” (Jones, 2007: 13). Abbiamo il giorno ma non abbiamo la data precisa, il luogo è anch’esso piuttosto vago e l’oggetto suona come una dedica, più che un tema da trattare. Inoltre la narrazione è puntellata da note esplicative o che rimandano ad altri racconti tolti in fase di editing e consultabili sul sito di Jones: http://slmpds.net/babsi (da qualche giorno il sito sembra non essere più attivo). La lettera si muta in saggio che viene, a sua volta, stravolto dallo stile giornalistico mescolato a quello del romanzo (sorvolo sull’intertestualità con Amleto a cui spero di poter dedicare una riflessione a parte). Insomma, Sappiano le mie parole di sangue è un UNO (Unidentified Narrative Object, oggetto narrativo non identificato, Wu Ming 1, 2008: 8), in quanto non collocabile all’interno di categorie come romanzo o reportage e risponde anche per questo ad alcune delle categorie della NIE (New Italian Epic, nuova epica italiana) teorizzata da Wu Ming 1, quali quella sopra citata, o quella, di cui continuerò a parlare nella prossima ‘puntata’, della “sovversione ‘nascosta’ di linguaggio e stile” (Wu Ming 1, 2008: 20), o anche quella della “comunità e transmedialità” (Wu Ming 1, 2008: 23). Ritorniamo di nuovo alla pertinenza del termine quasiromanzo, l’avverbio “quasi” rimanda a qualcosa che non è completo, finito, terminato. Allo stesso tempo esprime una condizione di vicinanza, nello specifico, al romanzo, che rimane sempre tale, creando una tensione e anche una provocazione (si veda in questo senso la recensione di Wu Ming 2 su Nandropausa del 13 dicembre 2007). Dello stile epistolare forse Sappiano le mie parole di sangue conserva il senso di apertura, il bisogno di comunicare la stoltezza della guerra e di quella guerra. È un’opera aperta dove la fine lascia il posto al senso di sospensione dato dall’ultima parola del testo, “legger” (Jones, 2007: 240), troncata e priva di alcuna punteggiatura (neanche i puntini di sospensione) a dare il sigillo finale. Sta al lettore reagire, partecipare, fare.
Materiale citato:
- Anne Bower, Epistolary responses: The Letter in 20th-Century American Fiction and Criticism (Tuscaloosa: Alabama UP, 1997).
- Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue (Milano: Rizzoli, 2007).
- Rosella Simonari, “Parole di sangue”, recensione a Sappiano le mie parole di sangue di Babsi Jones, Leggere Donna, n. 136, settembre-ottobre 2008, p. 18.
- Wu Ming 1, “New Italian Epic – Memorandum 1993-2008: narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro”, 19 marzo-20 aprile 2008 (versione 1.0), 18 agosto – 12 settembre 2008 (versione2.0)
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